mercoledì 2 agosto 2023

Poesia di una notte di mezza estate

La rassegna è giunta agli sgoccioli e si concluderà con due racconti. Non ho voluto dimostrare di avere aspirazioni di poeta ma solo di allietare le vostre serate e mettere in qualche modo in subbuglio i vostri sogni e magari far nascere, all'indomani del risveglio, una semplice riflessione: sulla vita? Sull'amore? Boh! Non lo so. So solo che queste notti d'estate ho dormito poco, avevo solo voglia di scrivere e così è stato. Intanto, porgo un caro saluto a tutti voi e alla prossima volta.

Un caro trenino

C'era una volta, per molti di noi, un caro trenino che dal capoluogo Campano, attraversando la piana del Volturno, giungeva a Piedimonte d'Alife. Un viaggio iniziato dai primi del Novecento e terminato nell'era moderna degli anni settanta dello stesso secolo. Un serpentello rosso e giallo che si faceva largo nel verde smeraldo della Campania Felix, trasportando viaggiatori d'ogni età in attesa nelle sue stazioncine impolverate poste in ameni luoghi che il tempo ormai ha cancellato. Tutto adesso, per i più, resta solo un vago ricordo e qualche foto sbiadita in bianco e nero, ma a cui noi con i versi che seguono daremo il colore di un ricordo indelebile, quello dell'affetto a un veicolo che ha unito luoghi e generazioni di un tempo svanito: il treno da molti chiamato 'a Piedimonte o l'Alifana.

Alla fermata del tempo
di Carmine Cecere (1994)

La siepe si riveste
sotto i raggi del sole,
di nuovo le formiche
sulla stretta traiettoria.

Su i rami di un noce
ancora nudo, 
due passeri
a pulirsi le piume.

Tra l’erba fresca
l’odore del ferro
della vecchia Alifana,
col suo trenino fermo lì,
nella stazione dei ricordi.

Il venticello delle quattordici
accoglie i passeggeri,
sbadigli e valige di cartone,
vecchi coi baveri alzati
e ragazzine a spogliare fiori.

Si ritorna a casa,
nel tempo in cui la luce
non aveva falsi toni,
si ritorna indietro
per ascoltare i suoni,
le rime dei giorni che furono,
i passi dei nostri padri,
i passi dei nostri figli.


(Sopra: foto anni 70, la Piedimonte ferma alla stazione di Giugliano)
....................................................................................

Amori d'agosto

Di solito nei mesi estivi gli amori sbocciano all'apertura degli ombrelloni sulla spiaggia. Da ragazzo mi è capitato alcune volte e puntualmente con il primo acquazzone estivo terminava. A sessant'anni mi e capitato che ciò avvenisse in città, senza l'apertura di alcun ombrellone ed è terminato senza l'inizio di nessun temporale. Anche i sentimenti sono diversi e quelli di oggi fanno più male di quelli di allora. La vita comunque è bella lo stesso perché ti riserva anche queste avventure o sventure. Sembra strano, non dovrei dirlo e non mi vergogno, scoprirmi ancora un credulone romantico e innamorarmi; poi stranamente è finito tutto. Non so dirvi perché. Aspetto una risposta anch'io. Ma va bene così, perché comunque sia andato so che l'amore fa ancora parte di me, il mio cuore ha in sé ancora questo sentimento che distingue gli esseri umani e il mondo animale. Con tutto il rispetto e l'amore che ho per quest'ultimi.

Riepilogo d'agosto 
di Carmine Cecere (2023)

Con te sto bene, mi dicevi.
Ma ora siamo 
di nuovo degli sconosciuti.
Tu sei di nuovo
la donna della moto
E io l'uomo distratto 
del marciapiede.
Il tuo sorriso
ora sembra una spada,
E la dolcezza di quei baci
Non so più che fine abbia fatto.
Stasera 
c'è qualche nuvola nervosa 
ed una luna triste.
Un venticello lieve
porta il tuo profumo
E l'eco greve
Dell'amara fine d'agosto
Di questo mio
Sventurato amore.


(Nella foto sopra: Lido delle Sirene, anni '70.
Clicca la foto per ingrandirla)
......................................................................................

Passeggiata Reale

La Villa comunale di Napoli detta anche Passeggiata Reale, prese vita da un'idea del viceré duca di Medinacoeli e rivoluzionata e ampliata, successivamente, dai francesi prima e dai Borbone poi. È stata da sempre orgoglioso distintivo della città, assieme ad altre bellezze che vi sono sul territorio. Il suo neoclassicismo fu deturpato dal restauro voluto dall'Amministrazione Bassolino nel 1997. Gli stupendi lampioni furono sostituite da supposte luminose, la cancellata di ghisa fu sostituita dall'alluminio anodizzato, i viali con i suoi sampietrini divennero viottoli di campagna in tufo giallo, praticamente uno scempio assoluto e tutto è stato accolto come l'acqua che scorre nel letto di un fiume in tutta tranquillità dalla stragrande maggioranza della gente, anche se ci furono timide polemiche contro il sindacalista di Afragola che era il nuovo che avanzava, colui che avrebbe sconvolto e rinnovata Napoli; infatti, la Villa comunale fu sconvolta ma non rinnovata, anzi. In seguito anche la cassa armonica fu mezza rovinata, insomma non ne hanno fatta una buona, hanno solo speso tanti soldi. Un chilometro, dalla Vittoria a Mergellina, di alberi di ogni sorta, molti dei quali però furono sradicati perché morti. Un tempo carrozze e calessi portavano a passeggio signorine imbellettate in odore di fidanzamento. Piccole faccine imbrattate di zucchero filato con sventolanti palloncini legati ai polsi. La novità di oggi è che quando si esce da questo luogo, di sicuro si hanno scarpe e pantaloni imbrattati di polvere.


Margellina 
di Carmine Cecere (1994)

'E Melloni chine 'e fuoche,
'E taralle 'nzogna e pepe,
Quanta ggente 'nterra 'a rena,
Mentre o sole se ne va.

'Nu vasillo a core a core,
'Na canzone doje parole,
'Na vevuta 'e limunata
E tutte 'e voce 'e 'sta città.

Jesce sole, sole, sole.
Sole e mare, sole pe mme.

Se fa notte e po' matina,
Scengo abbascio Margellina,
'Ncoppo a chisti scoglie antichi
Veco Napule comm'era.

'Na carrozza che cavalli
Comme echilli tiempe belli,
E 'nu giro dinto a villa,
È 'nu suonno ma chi sa.

Jesce sole, sole, sole.
Sole e mare, sole pe mme.

Se fa notte e po' matina
'Ncoppe a chesta mia città,
Simme gente poco seria
Nun sapimmo cchiù campà.

Jesce sole, sole, sole.
Sole e mare, sole pe mme.


(Foto tratta da Internet)
........................................................................

La signora della notte

Che cos'è la notte? È quando il sole non c'è! Semplicissima spiegazione per noi contemporanei. Per gli antichi però non era così semplice. La notte, le tenebre, hanno sempre angosciato l'umanità. Il mondo della notte è sempre stato un mondo affollato di figure misteriose che incutevano tanta paura. Dai lupi siberiani ai lupi mannari, dai vampiri agli orchi, dai draghi ai fantasmi di ogni risma; e i più efferati delitti avvenivano col favore del buio. Da bambino, a dare fastidio al mio sonno, era il lupo mannaro, il quale, spesso, mi faceva la sua sgradita visita notturna. Mi appariva con i suoi occhi rossicci, i dentoni affilati ed il pelo lanoso alquanto schifoso. Sudavo come si suda nelle notti d'estate, il mio lettino diventava un tormento, costringendomi a trovare rifugio nel letto dei miei; e pertanto, puntualmente, dovevo sorbirmi il rimbrotto di mio padre, ma le carezze di mia madre. Mio padre insisteva che io la finissi, una buona volta, di guardare a tarda sera i film dell'Horror, ma in verità io guardavo i film sexy all'italiana di Lino Banfi con le varie Barbare Bouchet o le Edvige Fenech di turno. Pertanto, mi chiedo ancora: ma sto licantropo che disturbava i miei sogni da dove saltava fuori se in quei film c'era tutto tranne figure mostruose? Vuoi vedere che la coscienza sotto mentite spoglie veniva a farmi la tiratina d'orecchie! Mah? Non lo saprò mai. Intanto la notte è anche il regno della perversione, del malaffare. E la regina di questo regno sconfinato di nefandezze è la dea Nyx. Madre primordiale degli Dei greci, temuta anche dallo stesso Zeus, figuriamoci da me che avevo appena 11 anni, ed ella, probabilmente, per punirmi mandava un lupo mannaro a disturbare i miei sogni.

Temuta notte 
di Carmine Cecere (2023)

Al chiar di luna 
Immagino Chopin
Che si strugge al pianoforte,
E offre le sue note
Incantato dalla notte.

Fammi parlare
Perché è probabile
Che io dica le parole giuste,
E con un solo sostantivo
Ti dia tutte le risposte.

Io temo Nyx
E i sogni che farò
In questa indefinita oscurità,
E l'alma mia si tinge
Di fatuo futuro e incredulità.

Adorna di buia luce,
E temuta anche da Zeus,
Sorvola solitaria nuvole e cieli,
Dall'alto domina il mondo
Coi suoi quattro destrieri.

Io temo Nyx,
Figlia di Caos e di Caligine,
Madre di Hipnos e altre creature,
La temo e l'amo veramente,
Mentre le canto le mie paure.


(Sopra nella foto: La notte di Giovanni Busato, 1843)
....................................................................

Da Merola a Jung

Gli affetti più cari sono sempre presenti, li portiamo sempre con noi nel lobo centrale di questo immenso mondo chiamato cervello. Nel cassetto di quelli più pregiati, in alto su tutti, ci sono i figli. Sono sempre davanti i nostri occhi e ogni pensiero è quasi sempre rivolto a loro. Quando si va a comprare qualcosa per esempio, a fare la spesa, quando guardi le vetrine di un negozio, quando per strada vedi un'auto nuova e pensi come sarebbe contento tuo figlio o tua figlia se tu gliela potessi regalare. Quando discuti con le amiche o amici, alla fine i discorsi convergono sui figli. Mio figlio qua, mia figlia là. I figli sono i vincitori di qualsiasi campionato. Li si pensa ogni istante, perché? Perché "so piezze 'e core" come cantava Merola? Perché li amiamo? Ma questo è più che normale. Perché temiamo in continuazione per la loro incolumità? Anche questo è naturale. E allora? Sono la nostra proiezione nello spazio tempo. Non ho capito. In parole povere in quei corpi e quei cervelli c'è tanto di noi. Seppur differenti, noi siamo loro e viceversa. Vabbè stai scherzando? Non proprio. Un giorno, a tua insaputa, avrai, facciamo un esempio, i difetti che ha tuo padre; tu cucinerai con la stessa passione di tua madre. Ovviamente non in tutte le cose ci sarà questa corrispondenza, ma quelle cui riscontrerai saranno identiche. Lo sottolineava anche uno dei più grandi filosofi nonché psicologo Carl Gustav Jung. Vabbè, ma questa è una scempiaggine. Allora fa una cosa, da oggi in poi presta più attenzione e vedrai. Io nel frattempo dedico ai miei figli i versi della poesia che segue, tu rifletti pure, pensaci.

Po vene dimane
di Carmine Cecere (1996)

'Na canzone allera
pe tutte 'sti guaje,
chesta luna nera
ca nun vò calare,
'stu munno
nun se arrenno maje.

'St' uocchie piccirille
ca nun sanno niente,
ca 'stu mare è ffunno
e 'na varca è 'a vita,
Valeriuccia ride
e pazzea che bambulelle.

...Po vene dimane
e 'na rosa sarraje
'nmiezo a tanta spine
statt' accorte a papà
nun te fà purtà,
nun te fà arrubbà.

'Na canzone allera
je vulesse scrivere,
'nmiezo a tanta lacrime
je vulesse ridere,
'stu munno
nun se ferma maje.

'Sti piede piccirille
ca nun sanno strade,
'st' animelle 'e Dio
'nmiezo a tanta lupi,
Andreuccio ride
e a pallone vò jucà.

...Po vene dimane,
marenaro sarraje,
quanno 'o mare è gruosso
l' è sapè affruntà
nun te fa purtà,
astrigne 'e riente e vvà.

(Foto sopra: i miei due splendidi ragazzi nel 1996)
...................................................................

Il mare del domani

Si continuava a navigare il mare del domani, della speranza. Piccoli e grandi gusci navigabili solcano le onde di un'estate calda di scirocco e con lo scirocco uomini, donne e bambini come noi, come i nostri figli affrontano il corridoio d'acqua salata del Mediterraneo per aggrapparsi alle coste di un improbabile futuro. E si continua a morire e a raccogliere corpi come alghe. Non sono bastati i cento morti di Cutro e le centinaia prima ancora, e che nessuna politica sembra riesca a risolvere questa mattanza. Facciamo anche noi questa esperienza, ovviamente virtuale, immedesimiamoci in quegli uomini, quelle donne e quei bambini, quest'anno quando andremo in vacanza, per gioco andiamo a largo con un canotto e fermiamoci a pensare tutto quello che vivono quei disgraziati in circostanze ovviamente molto diverse dalle nostre. Facciamo ciò affinché la nostra sensibilità cresca e i nostri pregiudizi vengano a cadere del tutto. Quante volte ho sentito dei commenti superficiali come se il mondo cosiddetto civilizzato fosse solo nostro e tutti gli altri si debbono arrangiare. E non è così, se parliamo sempre delle cose che non vanno e che si vuole un mondo migliore, eccolo lì il mondo migliore da creare ed è quello per il quale non far morire alcun nostro fratello in nessun posto, in nessun mare. Altrimenti sono solo chiacchiere e perdita di tempo.

Mare Nostrum
di Carmine Cecere (2001)

Bevvi litri e litri d’acqua salata
come il capitano Achab
in groppa al suo incubo bianco,
io in groppa alle mie paure.
 
Un forte vento di notte algerina,
spinse il mio “io”
tra l’ignoto e l’incredulità
delle domande misere e magre.
 
Piansi e sputai le lacrime
cadute sulla bocca,
crudeli onde ci travolsero,
e dalla ragione alla follia
la distanza fu breve.
 
Ora, sconfitto, la quiete ritornò
stremato dal vento
la risacca mi accolse,
come sasso o rifiuto qualunque.
 
Gli occhi chiusi catturarono il vuoto,
il niente fu pieno
del tempo che non ha corpo,
e di me piccolo infinito.
 
Piansi e sputai la rabbia
che penetrò nei muscoli,
il cuore si indurì,
e dalla ragione alla follia
la distanza fu breve.
 
Povere foglie gialle d’autunno
i miei capelli grigi,
specchio dei giorni che vanno
e dei suoni lontani che tornano.
 
Insieme si lotta
Contro il mare in tempesta,
E tra la vita e la morte
La via è breve.

(Foto tratta da internet)

.....................................................................................

Nel ventre di Napoli

Leggendo il libro più famoso di Matilde Serao, "Il Ventre di Napoli", alcuni anni or sono, ho paragonato la città di allora alla mia Leonida che ho sognato in una notte dell'inverno scorso. Ricordo faceva freddino e mi coprii fino alla testa per riscaldarmi alla meglio. Una voce sommessa mi destò: So che in questo periodo sei triste perché sei solo. Ti faccio compagnia se vuoi? Disse lei. Io non seppi cosa risponderle, la guardavo con attenzione, ma dalla bocca usciva solo fiato freddo. Io sarò la tua donna, tua madre, la tua città. Oddio, ma questa cosa dice, ripetevo tra me. Aveva un fascino particolare sembrava bella ma non lo era, era piena di rughe, il volto luminoso come quando un raggio di sole lo sfiora di traverso. Una capigliatura folta, capelli ricci quasi, molti dei quali argentei. Bella formosa, un ventre prosperoso di gravidanze come chissà quante creature negli anni lo avevano attraversato per venire al mondo. I miei occhi lacrimanti iniziarono a farlo insieme a quelli di lei, mi tenne le mani e iniziò a raccontarmi di una sirena. La interruppi proferendo il nome di Matilde, ella, poi, mi accarezzò il capo e disse: domani, al risveglio, scrivi le parole che ora ti dirò. Caddi in un sonno profondo. Il gallo che da anni mi rompe le scatole iniziò a cantare alle solite cinque del mattino. Il sole pallido faceva fatica ad attraversare le fessure della tapparella, ma mi svegliai comunque. Sul comodino, alla mia sinistra, trovai una penna e un foglio bianco senza alcunché di scritto sopra. All'improvviso ricordai il sonno e quello che la donna mi aveva detto. Ma cosa avrei dovuto scrivere? Forse quello che segue qui nella poesia? Non lo saprò mai e nemmeno voi. A meno che... Non è proprio quello che ho scritto.

Donna Leonida 
di Carmine Cecere (2023)

Donna Leonida
Sapeva tutto,
Del tempo bello,
Del tempo brutto.

Dell'amore
Non ne parliamo,
Conosceva ogni mistero,
Ogni sottile arcano.

Aveva amato, sì
ma anche odiato.
Si era data, sì
Perché l'amore è dare.

E tutto era lì,
tra le rughe del suo volto,
tutti i secondi, i minuti,
Le ore, la disperazione.

Non mancava niente,
E lo dicevano quei fili d'argento,
Tra altrettanti fili neri
Della sua ancora folta chioma.

Dita affusolate
E unghie da leonessa,
Antica e bella,
Signora e vaiassa.

Più che donna
Era femmina,
E mi scioglievo nei suoi occhi,
E lei perduta dentro ai miei.

Donna Leonida
Sapeva tutto,
Che il tempo è liquido
E non si può plasmare.

È scevro da ogni forma,
Non ha geometrie di sorta,
È sentimento astratto,
L'incognita dietro una porta.

E tutto è tutto,
Come il nulla è niente,
Come l'amore non dato,
Ma che ancora amore è.

(Sopra: Matilde Serao, foto tratta da Wikipedia) 

.....…........................................................

Perché si canta quando ci si doccia?

"Je so napulitane e si nun cante more" . Ciò non è vero perché si vive ugualmente, anche se cantare aiuta molto, specialmente chi lo fa per vivere; allora sì, che se non si canta si può morire di fame. Intanto, piu o meno, noi napoletani e non, cantiamo tutti perché farlo è liberatorio. Aiuta molti organi del corpo e soprattutto mette il buonumore che è cosa necessaria. Ora se si è stonati o meno è relativamente importante e anche dove lo si fa. Quando si chiede a qualcuno di solito dove ti capita cantare, questi risponde sotto la doccia. La maggior parte di noi cantiamo sotto la doccia. Perché? Una risposta perentoria non esiste, in genere esistono risposte fittizie o pseudo tali. Ma una che si avvicina molto alla realtà c'è ed è così semplice che quasi quasi me ne vergogno a esplicitarla. Cantare sotto la doccia serve a rilassarsi,  voi direte: questo è tutto. Allora pure dire una poesia può aiutare? No, la poesia sotto la doccia purtroppo non aiuta, perché il ritmo è molto più lento di una canzone. Il ritmo è la chiave di chi canta sotto la doccia, e perché? Il motivo scatenante è l'acqua ovviamente. No, l'acqua stimola a un canto liberatorio. Ma insomma, voi direte, ce lo vuoi dire o no perché si canta sotto la doccia? Bisogna partire dalla notte dei tempi perché è un retaggio primordiale. Ora qui non specifichiamo l'epoca o l'era giusta, diciamo solo che tanto tempo fa l'acqua calda non esisteva, bensì solo acqua in genere ghiacciata perché ci si lavava sfruttando cascate o corsi d'acqua con una certa pendenza. E sopportare un getto del genere del tutto freddo fa sì che il corpo reagisca emettendo dei lamenti, quindi dei suoni liberatori di sfogo, che con la perfezione del linguaggio nel corso dei secoli diventa canzone. A smentire o no questa tesi è facile, fate una prova con la doccia di casa vostra. Aprite il getto pieno solo d'acqua fredda e scoprirete che per sopportare quella temperatura c'è bisogno di un lamento che aiuti il corpo a sopportare tale temperatura. Appurerete che le fauci si spalancano e la voce inizia a uscire per contrastare il fastidio del freddo. Ecco, quindi, perché si canta sotto la doccia. In quale lingua non ha importanza, se in napoletano però è meglio. Perché se sei costretto a fartela con l'acqua fredda, tu che fai? Basta che canti " 'O sole mio" ed il gioco psicologico dell'acqua calda è fatto. Dopo un po' crederai che dal soffione stia uscendo acqua tiepida, e questo stimola ancora di più alla kermesse canora; passando addirittura ai versi di Pino Daniele quando nella canzone Stella Nera dell'Album "Musicante" i versi dicono, a un certo punto... "L'acqua è caura, ma ched'è?". Bè, non sono tanto sicuro che la storia sia andata proprio così, ma siamo molto vicini. E poi a me sta fregnaccia piace, anche perché introduce la mia passione alla canzone napoletana e alla scrittura in vernacolo. Il testo che segue, o meglio, alcuni versi di esso, mi furono ispirati dal mio ambiente lavorativo che li supportai con un motivo classico seguendo il genere "muroliano", ma che in bocca a un mio amico cantante divenne un attuale motivo neomelodico.

Parole d'ammore (Rosa)
di Carmine Cecere (1990)

Oj Rosa, Ro'
Sorriso 'e primmavera
Ca faccia 'nfosa 
Te ne staje stasera.

E chi vuo' bene
Chiagnere te fa,
Sotto a 'stu cielo
Che stelle staje aspettà.

'St'ammore 
busciardo e traditore,
'St'ammore
Ca t'arrobbe e se ne va.

Se piglia e juorne cchiù belli
Parole scritte sotto 'e stelle
Parole,
Parole d'ammore.

Oj Rosa, Ro'
'Sta vita è 'na sorpresa,
E chi te dice scusa
Te dice 'na buscia.

Oj Ro' nun fa prumesse
Nun essere crudele,
L'ammore è sempe ammore
E resta 'nu mistero.


(La feci diventare una canzone e l'arrangiamento, nonché il cantato, 
è dell'allora amico Tony di Napoli.)



(Brano "Parole d'ammore (Rosa)" testo e musica di Carmine Cecere, 
arrangiamenti ed esecuzione di Tony di Napoli nel 1999)
(Foto sopra tratta da Internet) 

....................................................................

Liberi da ogni violenza 

Liberi mai se non ci libereremo di qualsiasi violenza. Femminicidi, guerre domestiche, sociali, territoriali, universali, e quelle che attanagliano l'animo di ognuno di noi. Il principio della libertà è fondamentale per ogni essere di questo pianeta, anche degli animali si intende. Ma per essere liberi dobbiamo capire prima il concetto d'amore il quale è intrinseco alla libertà, direi che sono la stessa cosa. Bisogna capire che l'amore non è relegato al possesso, altrimenti è un'altra cosa. Se riusciamo in questo abbiamo capito cos'è la libertà. E poi di seguito ci viene naturale l'argomento del rispetto che è un altro fondamentale elemento del vivere civile. Negli anni passati ci siamo andati molto vicini, poi il non rispetto sembra diventato la modernità. Se si rispetta non si è moderni. Ora chiedo sia il contrario e credo anche necessario per la sopravvivenza della razza umana e non solo. Quanti animali che un tempo dominavano la terra sono spariti e molti altri li seguiranno, grazie al nostro sopraffare ogni cosa e il non rispetto di questo stupendo, incantevole, superlativo pianeta. Pertanto, ribadisco con tutta l'anima: non saremo mai liberi se la violenza continuerà a dominarci.


Liberi mai
di Carmine Cecere (1991)

È sera
Sopra i tetti del mondo, 
È sera
Dentro gli occhi 
di chi ha visto la vita.

È sera
Per noi seduti al bar,
È sera
E si spegne la città.

È sera
Nei giorni di Bagdad colpita,
È sera
Negli occhi di madri 
che piangono figli.

È sera
Per i nostri sogni da fare,
È sera
E sogno che sta per cambiare.

Ma liberi
non saremo mai,
Sempre attaccati 
alle cose del mondo.

Siamo partiti
Per un grande viaggio,
Un grande viaggio
Senza ritorno.

È sera
Sui fiumi che scendono al mare,
È sera
Dentro dolci parole d'amore.

È sera
Mistero su di me,
È sera
Domani che cos'è.

È sera
Per chi sputa promesse,
È sera
Nel buio denso di periferia.

È sera
Denari, vizi e vai,
È sera
E non finisce mai.


(Foto tratta da Internet)
....................................................................................

I misteri della poesia

Quante volte nel guardare la luna, ovvero la mezza luna, sembra che ha davvero gli occhi, il naso e la bocca? Specie nelle notti d'estate, quando seduto sul terrazzo mi metto a cercare le stelle. Con l'indice traccio i carri e immagino di spostarli con la sola forza di un dito. E con lo stesso vado a caccia dei segni che, dicono, influenzino la nostra vita. Scorpione, Gemelli, e arrivato al Cancro mi fermo a riflettere che il mio è proprio un segno cui mi ha dato sempre guai. Mah? Sarà, boh? Poi proseguo a fantasticare, perché il cielo notturno d'estate si presta a questo. Faccio incontrare grandi scrittori con eroi dei fumetti, plasmo le nuvole come l'argilla, e mi capita di ridere anche quando davvero non è necessario. Poi ecco, magicamente, mi prende la smania di scrivere, e devo farlo. È necessario, almeno per me. I versi non li rileggo né li correggo, li lascio lì sul foglio che misteriosamente, il mattino dopo, sono poesia o così sembra.


La luna con gli occhi, il naso e la bocca
di Carmine Cecere (settembre 1998)

Il rosso e il nero di Stendhal
Stasera proprio non mi va,
Ho ancora un vecchio Dylan Dog
Che un giorno o l'altro leggerò.

Confido nelle stelle
Oltre la finestra,
Le nuvole che girano
Sembrano far festa.

E sogno, sogno, sogno
Mi piace così,
Il vento nei capelli
E tu che mi dici di sì.

Nel video ho pronto un film di Totò,
Alla tristezza a volte dico no.
Ma dimmi poi da ridere che c'è,
Se un mondo a pezzi gira intorno a me.

Nel traffico mi perdo e perdo l'anima,
Un pizzico di sale nei pensieri sterili,
Non sarò mai un pozzo di verità,
Lo dice Freud e se lo dice, lui lo sa.

La luna con gli occhi, 
Il naso e la bocca.
Un volo di passeri 
Su un foglio di carta.
C'è anche una barca 
Colorata a metà,
È Pronta a partire, 
Chissà dove andrà.
Il tempo è passato 
Ed eccoci qua,
Itaca è piccola 
E bene si sta.
Lei ha lasciato il telaio 
Ed è tutta per me,
Le prometto l'amore, 
L'amore di marinaio.

Dov'è il confine dei sì e dei no,
Lo specchio opaco dei dubbi miei,
Guardo negli occhi di chi non vede più,
E con le dita tocco lacrime tinte di blu.

Un giro in bicicletta quando è già notte,
Rubare il silenzio per scrutarmi dentro,
Culliamoci nel vento che passerà,
Fidiamoci del cuore che ancora canterà.

...............................................................

Le nuvole della speranza

Già da bambino lo facevo e tutt'oggi lo faccio ancora, quando posso, quello di fissare il cielo e giocare con le nuvole. A volte penso che se non ci fossero sarebbe noiosissimo, un cielo sempre terso mette ansia. Anche il mare quando è calmo piatto mi dà un senso di timore. E immagino che anche un deserto senza dune sarebbe destabilizzante, senza alcuna speranza che oltre le alture di sabbia ci possa essere un'oasi o palesarsi improvvisa una città pronta ad accoglierci, insomma un cielo senza nuvole, un mare senza onde, un deserto senza dune è come un'anima senza alcuna speranza, quella che ci tiene in vita in ogni circostanza. Un cielo di nuvole è un cielo che da speranza ai campi e al seminato. Le onde del mare spingono i naviganti e modellano le coste. Poi ci sono quelle che attraversano il cielo di ogni singola esistenza contro cui combattere o aspettare che la tempesta si calmi. Queste sono nuvole non belle da vedere né tantomeno giocarci. Ecco "Le nuvole" di De André, invece, è il suo 12esimo album in cui il brano recita come segue: "Certe volte sono bianche corrono e prendono la forma dell'airone o della pecora o di qualche altra bestia. Ma questo lo vedono meglio i bambini che giocano a corrergli dietro per tanti metri". Che bella immagine, la fantasia che plasma ogni cosa, finanche le nuvole. La fantasia uguale sogni. E sono questi che muovono gli uomini, i sogni; e gli uomini a loro volta muovono il mondo.


Le Nuvole
di Carmine Cecere (1997)

Le nuvole
Guardano il mondo
Come rondini che giocano
Senza fermarsi mai.

Io, in mezzo agli alberi,
Nella profondità dei pensieri
Che cosa ci sarà la fuori,
Lì nell'immensità.

Le nuvole
Passano, corrono,
E vento che soffia,
Domani sole porterà.

Io che ero figlio
Adesso sono padre,
E come una nuvola nera
Presto mi dissolverò.

Le nuvole
Guardano il mondo,
Si inabissano
E Poi tornano su
A guardarci da lontano.


(Foto tratta da internet)
................................................................

L'Amicizia

Sentimento necessario, fondamentale. Un stato dell'essere, l'amicizia. Da uno sguardo simpatico o antipatico che sia, da un alterco o una pacifica conversazione ciò è preceduto dall'approccio o meglio dalla spontaneità inconsapevole, e spesso non ci si ricorda nemmeno come si è diventati amici. Nei banchi di scuola, all'oratorio, per strada nei meriggi assolati di primavera. Nella sala d'aspetto dello studio dello stesso medico. Nel salone del barbiere, ma soprattutto, capitava nei circoli ricreativi. Nel mio paese ce ne erano diversi negli anni settanta. E molte amicizie sono nate proprio lì, intorno al flipper, al calcio balilla o alla carambola. Gruppi esclusivamente di maschi, di femminucce nemmeno a pensarci, ovvero si pensavano, ma non più di questo. Crescendo poi c'è la naturale selezione, i normali cambiamenti, gli allontanamenti di alcuni, le novità. Come quella di imparare a suonare la chitarra e ritrovarci sul muretto della strada principale del paese a cantare fino a tarda sera. Ed è lì, in quest'occasioni che di amicizie ne sbocciano tante quante le viole lo facciano dall'autunno a primavera. 


Colori d'amicizia
di Carmine Cecere (1995)

Colori di una vita,
Di una finestra chiusa,
Di una caro vecchio amico,
Dei fiori sui balconi.

Colori di una notte,
Di una pioggia chiara,
Canzoni di una sera
Cantate a primavera.

La vita e l'amore
Ci hanno fatto soffrire,
Ricordo
Eravamo bambini.

C'era tanta confusione
Come quando c'è la guerra,
Anche un poco di pigrizia,
Ma una grande amicizia.

Colori di una vita
Di mille discussioni,
Amico mio continua
E non mollare mai.

Colori di una strada
Che conosce i nostri passi,
Ci abbiam lasciato i sogni
E tu lo sai.


(Nella foto sopra: io e l'amico Enrico Nuvoletta, di cui mi onoro della sua amicizia. Sono orgoglioso di essere amico di un uomo come lui che ha combattuto il terrorismo negli anni di piombo, facendo parte della scorta come carabiniere a fianco del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.)
.................................................................

A Mario

Quando negli anni ottanta facevo parte di un gruppo cattolico extra parrocchiale, realizzai con altri quattro amici un gruppo musicale con il quale andavamo in giro per teatri e parrocchie a esibirci con un recital di canzoni scritte da me, dal titolo "Progetto Uomo". Facemmo un bel tour, divertendoci tanto. Conoscemmo tante persone e i complimenti non mancarono. Suonammo a Torre del Greco, a Torre Annunziata, al teatro di Portici a quello di Cappella Cangiani, a Formia, a Vallo della Lucania e nel beneventano. Il tastierista si chiamava Mario, ed era un tipo alquanto eclettico. All'epoca frequentava il Seminario minore di Casoria, giacché scelse la strada del sacerdozio, e così fu Consacrato. Gli affidarono delle reggenze, poi come vice e poi una parrocchia tutta sua nel quartiere Sanità di Napoli. Ci allontanammo, frequentandoci sempre meno, ma ogni qualvolta che ci si incontrava era una festa. Non facevamo altro che ricordare, felici di farlo, i bei momenti dei concerti che facemmo. Ma un giorno, a gennaio del 1999, accadde la tragedia, Mario si lanciò dalla sua casa di residenza in Posillipo, ma noi amici un motivo per il quale accadde ciò lo stiamo ancora aspettando, forse inutilmente. Lui era un buono, uno sempre disponibile verso gli altri e al dialogo con chiunque, quante cose si è fatto insieme, ma qui tralascio i dettagli. Passo alla mia disperazione che consolai, in qualche modo, come lui avrebbe voluto sicuramente: scrivere dei versi, ed io lo feci, avevo voglia di gridare il suo nome, cacciare fuori quella rabbia che non aveva avuto alcuna risposta. Morto perché? Perché cosa? Lui che amava la vita e noi che eravamo con lui lo sappiamo bene più di chiunque altri. Dopo tante ballate gioiose realizzai una ballata triste, dedicata a lui, perché in quei giorni si era dannatamente tristi. Ti voglio bene Mario, te ne ho sempre voluto amico caro.

Ballata Triste
di Carmine Cecere (Gennaio 1999)

Era gennaio
Ma non ricordo più il giorno,
Triste fu il sogno e
Dalla quercia si spezzò
Il ramo più tenero
Dove il mondo si posò.

I miei occhi di ghiaccio,
Ora sciolti in un pianto
Di un dolore profondo
Che mi squarcia la gola.

Resterò in silenzio
tra i ricordi che tornano,
Riderò di quei giorni
E di noi felici.

Se felicità c'è stata mai,
Noi da sempre
Contro un mondo
Che non cambia mai.

Resterò in silenzio
Davanti a un punto di domanda,
Così grande come il mondo
Che risposte non ne ha.

Era gennaio
E anche le nuvole erano lì,
Crudele fu il vento
Che le mani ci gelò,
E le foglie del dubbio
Addosso ci scaraventò.

Ma quei giorni son tanti
E io non li scorderò,
Tu seduto suonavi
La mia "pace che non ho".


(Sopra nella foto: Carmine Cecere a Sorrento il giorno di Pasquetta del 1980. Clicca sulla foto per ingrandirla)
................................................................

Cent'anni di... Complicata solitudine

Avete mai letto il capolavoro del premio Nobel del grande Gabriel Garcia Marquez, "Cent'anni di solitudine"? Ebbene io l'ho fatto lo scorso anno e per terminarlo c'ho messo dei mesi, mentre nel frattempo ne leggevo altri. L'ho trovato complicatissimo, a differenza di quanto ne dicano i critici di essere fluido, la mia "ignoranza" si è trovata molto in difficoltà e ovviamente non ne è uscita migliorata. Vada per l'analessi e per la prolessi perché sono cose che un grande come lui è tenuto a fare, ma io non mi ci sono proprio ritrovato nell'insieme della storia. A volte mi sono perso. Sono dovuto tornare su pagine precedentemente lette per riallacciarmi a ciò che stavo leggendo in quel momento. Altrettante difficoltà le ho riscontrate nella sequenza dei nomi dei personaggi, l'unico che mi è rimasto è un passaggio di una certa Pilar, la quale mi ha ispirato per la composizione della seguente poesia. Nonostante la mia riluttanza, prometto che un giorno lo rileggerò. E comunque di sicuro "L'amore ai tempi del colera" vale certo di più.


Tango di Pilar
di Carmine Cecere (2022)

Balla Pilar
Questo tango nevrotico
Di anni sfuggenti.

Io qui al bar
In un mondo caotico
A bere sogni cadenti.

Bella Pilar
Con quei riccioli neri
E lo sguardo vivo che hai.

In questa foto in bianco e nero
Avevi un colore raggiante,
Un sapore d'amore straniero
Come il sole che sorge a levante.

Balla Pilar
Insegnami la Caminada
Mentre ti stringo a me.

Poi torno al bar
A bere una vita ghiacciata
A chiedermi ancora perché.

Bella Pilar
Che vai a tempo di Vals
Per trovare te stessa.

In questa notte hai occhi sinceri
Che mi ingannano il cuore,
E entrambi sembriamo veri
In un tango che smorza il dolore.

.................................................................

Mai mollare!

In questi ultimi anni la vita mi ha riservato diverse cose, molte purtroppo angoscianti, a tratti strazianti. Ma un'esperienza più di tutte mi ha dato la consapevolezza che non bisogna mai mollare quando la vita ci riserva delle amare e tragiche sorprese. Una famiglia comunque felice: lei lavorava a Roma e tutte le mattine prendeva il serpente di ferro che la portava a scuola. Lui, mio caro collega e fratello d'avventura. Eravamo in pieno Covid quando gli si manifesta uno strano malessere diagnosticato poi in "aplasia midollare". Il mondo già in declino finisce di schiantarsi su tutta la famiglia. Un dolore atroce a volte soffocato da una manifesta dignità. Il colpo lo subimmo anche noi, sulle prime ci smarrimmo, non credevamo ai nostri occhi: un ragazzone come lui rischiava di ammalarsi irrimediabilmente. Gli siamo stati vicino con discrezione, con tatto. Abbiamo dato quel che potevamo, quel che il cuore in quei momenti ci dettava. Ma da questa storia di cui tralascio i particolari, abbiamo imparato tutti, lui ci ha dato, con la sua forza e determinazione, un messaggio di vita sacrosanto: non bisogna mollare mai! Ne ha passate tante, ha sofferto atrocemente, ha pianto e noi con lui. Ma i leoni della Savana a suo confronto sono gattini per come ha divorato il male che voleva a sua volta divorarlo. Sono di nuovo felici: mamma, papà e i due graziosi figli. Hanno lottato e hanno vinto e il loro capobranco tornerà di nuovo a fare il lavoro che amava svisceratamente con tutto se stesso: il Vigile del Fuoco, sì perché sono uomini che sanno il valore della vita e pur di salvaguardarla non mollano mai. Grazie Francesco.


Il tempo grigio passa
di Carmine Cecere (1995)

Guido col sole negli occhi
È domenica e vengo da te,
Merlo tra i merli e fischio
Una canzone per te.
Per te che sai di mare,
Per te che ami me.

Parlo da solo son matto,
Lancio parole nel vento,
L'aria è tiepida e piace
E l'accarezzo correndo.
Negli occhi colorati
Son prati appena nati.

Foglie baciate dal sole,
Voli di nuove farfalle,
E con la mente ritorno
A quando il mondo era un sogno.
Io in calzoncini corti
Circa trent'anni fa.

Saltando i fossi ridendo
Come lucertole noi,
Coi piedi neri di fango
Al giugno perle rubammo.
Il tempo grigio passa,
L'amore lo colorerà.


(Sopra: Foto in cui Francesco è intento alle trasfusioni)
..............................................................

Siamo terra promessa 

Non vorrei essere blasfemo se dico che prima di cercare altrove la terra promessa dovremmo cercarla dentro di noi. Innanzitutto abbattere ogni pregiudizio, andando incontro all'altro senza timori che questi possa fregarti o farti del male. Vinciamo queste paure. Lasciamoci andare come chi si lasciò andare attraversando il mar Rosso per giungere sull'argine della speranza di una nuova vita. Non c'è sempre Caino nell'altro che incontri, ci sono uomini e donne che sanno offrire il loro cuore, la loro disponibilità al prossimo. Perché solo così potremmo dire che il mondo ha possibilità di cambiare. Cerchiamo dentro di noi quello che vogliamo essere, per la nostra vita e per la collettività. Sfidiamo le acque dei tormenti del vivere e diamo fiducia ai buoni auspici che ci promettiamo ogni qualvolta ci sentiamo inabissarci nelle sabbie mobili dell'ipocrisia.


Dentro di noi la terra promessa 
di Carmine Cecere (1984)

E fuggimmo dall'Egitto
Cercando un'altra terra,
Con nell'anima il deserto
Della nostra conoscenza.

C'è sempre stato un mare
Tra la mente e il cuore,
Un mare misterioso
Da dover attraversare.

E tanta strada da fare
Per non arrivare mai,
Ci siamo persi fra idoli
E mille falsità.

Cavalcammo dune e pregiudizi,
L'ignoto di una voce sommessa,
Ma era dentro di noi nascosta
L'agognata terra promessa.


(Sopra: immagine tratta da internet. Film "I dieci comandamenti")
................................................................

Ritornerei domani 

È ormai un anno che sono in pensione, ma il mio lavoro di Vigile del Fuoco mi manca tanto. Signori cari, trentacinque anni di vita "spericolata" e non quelle vite fatte così come racconta Vasco nella sua storica canzone. Una vita al servizio della collettività, braccia e cuore solidali verso chi ha bisogno, verso il prossimo. Una formazione perfetta, continua, sotto l'aspetto tecnico, ma sicuramente un lavoro snervante e faticoso dal punto di vista antropologico e cerebrale. Ma ce l'abbiamo fatta sempre. Di momenti duri e tragici ci sono stati e li abbiamo superati: vuoi per la passione che ci contraddistingue, vuoi per lo spirito innato di sopravvivenza. Sono comunque fiero di aver fatto parte di uno dei Corpi più amati e stimati soprattutto dai bambini, i quali nel loro immaginario siamo sicuramente superiori ai vari Batman, Spiderman e compagnia cantante. Di seguito ho voluto raccontare a mo'di filastrocca una giornata tipo, più o meno, che ho vissuto nell'arco della mia splendida carriera di Vigile del Fuoco, laddove i problemi quotidiani non sono mai mancati, ma purtroppo la perfezione non esiste da nessuna parte in quanto siamo uomini.

Questi versi li dedico al mio caro amico e collega da 35 anni, Alessio, il quale in questo periodo sta attraversando un momento alquanto difficile dovuto a motivi di salute. Forza Ale, non mollare!!


Filastrocca di quel che fu
di Carmine Cecere 
(Scritta l'ultimo giorno di servizio)

La beggiatura del mattino, 
Il caffè con la moka e poi le cialde.
L'appello del capo turno,
le lamentele di chi va in sostituzione,
I vaffanculo a mo di scherzo,
il controllo dell'Aps,
la motosega senz'olio,
il disco consumato della moto troncatrice; 
Qualche ritardatario,
Le maschere da sostituire,
La raccolta puntuale per la mensa,
Il cantante mattutino,
La caldaia non funziona,
La stampante senza toner,
Il saluto degli smontanti.
Ti tocca la prima,
Ti tocca la botte,
Le signore non puliscono bene,
Le signore sono brave,
Il telefono squilla,
Ragazzi si esce.
Di cosa si tratta,
Perché non ci va il funzionario,
Iniziamo bene.
Che sole,
Quanta pioggia,
Mandaci la polizia, 
Mandaci i carabinieri,
Il tecnico del comune,
fammi venire il 118.
Dammi il numero civico,
Un punto di riferimento,
Sempre sta cazzo di sterpaglia,
Passami un'altra scheda,
Chiama l'autoscala.
Ci sono tre feriti,
i soliti calcinacci,
L'obeso da scendere dal terzo piano,
Ho perso i guanti,
si sono rotti i pantaloni,
Che coglioni.
Che risate,
Occhio alle bufale,
Nemmeno un sorso d'acqua.
Che bello spaghettino,
Le cozze erano fresche,
E lo straordinario,
stiamo insieme in vigilanza.
Quando ci pagano gli arretrati,
La patente è scaduta,
Faccio il corso di PG;
tocca fare il retraining,
In licenza vado io,
Ma io c'ho la comunione.
Siamo pochi,
Siamo tanti,
Sti divani fanno schifo,
Il Comando non li passa,
Sono comodi sti divani,
Per favore non si fuma.
Lavate bene la cucina,
Mi hanno aperto l'armadietto,
Buona Pasqua,
Buon Natale.
Auguri buon compleanno,
Stamattina sei un po' strano,
Sei allegro stamattina,
Hai saputo,
Me l'hanno detto,
Ma chi è stato,
Non si sa.
Quando passi capo squadra,
Non lo so non ci penso,
Non esiste non ci vado,
Ma è un passo che va fatto.
Hai fatto il 730,
E gli assegni dei ragazzi,
lui ha chiesto la parentale,
Questo è qui con la 104.
La scheda la faccio dopo,
Questa scheda non è mia,
Hai fatto carburante,
Vado io a Marcianise,
Non ci vado a Piedimonte.
Apri l'acqua,
Tira il naspo,
Smassa un poco,
Ma a che serve,
Giornataccia oggi eh?
Si, perché è l'ultima della mia 
carriera, ma ritornerei domani!



(Foto sopra: Roma, Capannelle: io al Corso di Allievo Vigile Volontario Ausiliario nel 1981)
....................................................................

Ai vecchi

Di anziani seduti in tutta solitudine sulle panchine della mia città ne vedo tanti. Girano il capo a destra e a manca come se cercassero qualcosa, qualcuno, ma non credo che quel qualcuno stia cercando loro. Le donne con le buste della spesa gli passano davanti e loro le osservano e io osservo loro e mi chiedo cosa pensano in quel momento. Magari alla moglie andata via per sempre, ai figli lontani per lavoro, agli amici cari partiti per l'aldilà prima di lui. A quando giovani, insieme, chissà quante marachelle hanno combinato. Qualcuno fuma distratto dai pensieri, sembra che ti guardi, ma gli occhi sono da un'altra parte, la mente è altrove. C'è chi si guarda le mani, come se facesse la conta delle rughe, poi si dà un occhio ai flaccidi bicipiti e magari ricorda quando diciottenne con quegli stessi bicipiti avrebbe spostato il mondo e con le gambe forti e toniche fatto la maratona di New York. Purtroppo ora è lì su quella panca di cemento precompresso a muovere la testa di qua e di là, cercando chissà cosa, mentre qualche foglia secca si accuccia innanzi le sue scarpe.


Solitude
di Carmine Cecere (2023)

Un pallido sole
Negli occhi di un uomo
Che fuma pensieri
Seduto da solo.

E guarda le foglie
Che gli cadono accanto,
Le cose del mondo,
Le storie che vanno.



(Nella foto sopra: mio padre)
...............................................................

In ricordo di ILARIA ALPI

Nel 1994 avevo 32 anni e già da anni strimpellavo la mia Eko comprata in Via San Sebastiano a Napoli come tutti quelli come me che negli anni settanta gli prendeva la mania di emulare i vari Bennato e i vari De Gregori. Ma la mia passione vera era quella di scrivere, e senza ancora conoscere a fondo lo strumento iniziai a comporre musica per ciò che scrivevo. I primi testi furono di natura religiosa poiché frequentavo un gruppo extra parrocchiale. E da lì nacquero le mie composizioni, poi nell'82 con la scomparsa di Emanuela Orlandi composi musica e testi di questa disgraziata vicenda e con il gruppo andavamo in giro a farci ascoltare. Nel 1994, appunto, dal mio divano che affaccia sul mondo appresi della tragica fine della giornalista Ilaria Alpi. La donna fu massacrata col suo cineoperatore Hrovatin in circostanze mai chiarite a Mogadiscio, città nella quale stava svolgendo un'inchiesta alquanto complessa. "Aveva scoperto il traffico di armi, ma anche rifiuti tossici o radioattivi, che provenivano dall'Italia e venivano seppelliti in un'area desertica nel Nord della Somalia. Ilaria Alpi ha toccato il segreto più gelosamente custodito in Somalia, lo scarico di rifiuti pagato con soldi e armi...". 
Io ho sempre apprezzato il lavoro del giornalista, da ragazzo aspiravo a diventarci. Pertanto, la notte seguente iniziarono a volteggiare nel mio cervello dei versi, i quali poi furono quelli con cui onorai la memoria della nostra connazionale e del suo amico cineoperatore. Un po' di tempo dopo realizzai la versione canzone, registrando la base, ma non la ultimai per problemi di produzione. La versione che ho inserito giù in basso è un provino fatto da me con il mio PC.


Reporter 
di Carmine Cecere (1994)

I bambini di Mogadiscio 
fanno la guerra lanciando pietre, 
E tra povere baracche
Il pianto di una madre.

Poche briciole d'umanità
tutto il resto è un punto interrogativo,
Io non dormo queste sere
Pensando a chi non è più vivo.

Come è difficile capire
Quando non ci tocca da vicino,
Come è difficile capire
Perché si ammazza la verità.

Cade a pezzi questa realtà
Fatta di sangue, sabbia e polvere,
i carri armati lenti avanzano
Sulla mia pelle e sopra il mio cuore.

E tu dietro ad un microfono,
In mezzo alle notizie
Stai con quelli che ora soffrono,
Il mondo è dei pazzi.

Ilaria
sola nel vento,
Tutta la tua vita
Persa in un momento.

Ilaria
Coraggio e cuore,
Notti d'inchiostro
E giorni sotto il sole.

E il mondo è un confine
Nella mente degli uomini,
Tener stretto il potere
E buttar via i valori.

Poche briciole d'umanità
tutto il resto è un punto interrogativo,
Alle domande false risposte,
Piccole grida di voci nascoste.

E come è difficile capire
Quando non ci tocca da vicino,
Come è difficile capire
I giochi strani di questo mondo.


(Dedicata a Ilaria Alpi, giornalista del Tg3 uccisa a Mogadiscio nel 1994 insieme al suo cineoperatore Miran Hrovatin. Scritta nel maggio del 1994. Foto sopra tratta da Internet e anche le foto inserite nel video)



.....................................................................

L'amore non finisce 

In questa vita tutto è destinato a finire. Anche Darwin lo sosteneva. Il tempo no, perché il tempo non esiste, affermava Socrate. Dunque se tutto è destinato a finire, ovviamente anche noi umani lo siamo. E con noi tutte le cose che hanno fatto parte della nostra esistenza. Dalle cose più frivole e inutili alle cose che hanno caratterizzato qualcosa di importante nella nostra vita: l'amore. Al contrario della materia però l'amore non finisce, essendo esso immateriale. E tuttavia, i rapporti tra uomini cessano, ma l'amore no. No per chi crede fermamente che l'amore costruisce e non può mai distruggere. Una cosa non può essere positiva e negativa, o è l'una o è l'altra. L'amore costruisce, e quindi dentro l'animo umano resta solo l'amore costruito. Quello che non da spazio all'odio, al rancore. Che, pure quando una storia finisce, l'amore non tramonta mai. Quando due affermano che il loro amore è finito, non si rendono conto di dire una baggianata. Finiscono le cose materiali non ciò che è eterno come l'amore. Finisce il possesso che non è amore, lo stesso sesso non è amore, ma solo un atto fisiologico per procreare. L'amore è scevro da tutte queste convenzioni, è felicità è libertà, è essenza dell'esistenza di ogni essere umano. Perciò ditelo sempre e quando potete gridatelo: Ti Amo!!


Diglielo tu
di Carmine Cecere (scritta luglio 2023)

Diglielo tu 
a questo mio cuore
Di essere apatico.
Di non provare sentimenti,
Di essere impassibile 
Alle lacrime di un bimbo, 
Per un vecchio che sta male,
Di voltarsi dall'altra parte.

Di non sentire 
Quella tenerezza
Quando mi parli,
Di far sì che 
Quando ci guardiamo 
Negli occhi,
I miei non debbano luccicare.

Diglielo tu 
A questo mio cuore
Che non deve fare capricci.
Di non cercarti, 
Di cambiare strada.
Diglielo tu 
Quando le mie labbra 
Sfiorano le tue, 
E tu pretendi 
Che deve stare zitto, 
Senza dire ti amo.


(Foto tratta da Internet) 

.............................................................

A gli uomini di buona volontà

Con gli occhi di Vigile del Fuoco sono stato attore e protagonista nel vivere e vedere tante tragedie. Seduto sul mio solito divano, invece, sono stato spettatore delle tragedie del mondo. Ultima quella Ucraina. Se ci si affaccia dalla finestra e si punta lo sguardo a Est, allungando un braccio la tocchi con le dita della mano. E se fai attenzione senti il lamento di fratelli che cercano aiuto. Nella stessa direzione, volgendo lo sguardo al cielo, ti accorgi che nel buio c'è una stella che brilla più di tutte e sembra più grande delle altre: quella è Sirio. Io una notte di queste ho pregato colui che chiamiamo Padreterno, Signore dell'universo intero, affinché comandasse Sirio con la sua potente lucentezza a illuminare i cuori degli uomini per tracciare il cammino del ritorno, del ritorno a una pace vera, all'universale fratellanza.


Sirio
di Carmine Cecere (febbraio 2023)

Sirio del Cane Maggiore
Prende a morsi la notte,
E senza neanche un rumore
In luce attraversa le porte.

Sacra creatura onnisciente,
Figlia del nero universo,
Sii meta al cammino di gente,
A quest'uomo da sempre perso.

E trema l'Anatolia,
A Kijv cadono bombe.
La terra è pregna di lacrime,
La neve è rossa di sangue.

Stella lontana anni luce
Illuminaci in questo inverno,
Noi che vorremmo pace
Per scappare via dall'inferno.

Brilli nel freddo gennaio
e silente ti ho vista dai vetri,
Guardando la luna in sdraio
Come d'estate facevo a Vietri.

E trema l'Anatolia,
A Kijv cadono bombe.
La terra è pregna di lacrime
E Sirio accarezza le tombe.


(Foto di uno splendido squarcio dell'Ucraina 
prima della guerra, tratta da internet)

................................................................

Incantati e disincantat

Se lo diceva Goethe nel 1787 che Napoli è la città più bella d'Europa e d'Italia bisogna crederci davvero. Se Napoli è quella dei mille colori di Pino Daniele non c'è alcun dubbio che sia altrettanto vero; quella che ha tante facce e anche tanti luoghi comuni basati su una retorica ormai obsoleta sotto tutti i punti di vista è quella dell'incauto disincanto. La Napoli culturale e paesaggistica però vince su tutto e su tutti i luoghi comuni addebitategli per screditarla. Napoli è bella anche perché è contradditoria, non è statica, bensì da secoli dinamica e sempre viva che mai. Anime nell'anima unica napoletana. La poesia-filastrocca di stasera è un piccolo omaggio alla mia città natale, una cartolina, un attimo, un pensiero immenso racchiuso in pochi versi.


Incauto Disincanto
di Carmine Cecere (marzo 2023)

C'è un baffo di neve
Lassù sul cratere,
E il mare in tempesta
Che sembra una festa.

Piove a dirotto
Marzo si è rotto,
Ma passata la sera
Sarà primavera.

Bambini felici
Già corrono in bici,
E le nuvole nere
Son trafitte dal sole.

C'è un tizio che canta
Un Caio su una panca,
Sempronio che urla
È tutta una burla.

Virgilio e Leopardi
A raccontarsi ricordi,
Di là dalla grotta
C'è solo una porta.

Sarai tu quella chiave
Ad aprire il mio cuore,
L'accordo più lieve
Di Pino Daniele.


(Sopra: foto del mio primo 33 giri del grande album di Pino, "Terra mia")

.................................................................

Ogni mamma è bella 'o scarrafone suo

L'argomento di stasera è la mamma, e al contrario di quanto dica il famoso detto io asserisco che: ogni mamma è bella allo scarrafone suo. Avete mai riflettuto sulle coccole che vi fa una mamma? Da nessun altre mani ne avrete simili. Come gli abbracci. E gli sguardi? Ti penetrano l'anima e vanno direttamente a leggere i pensieri che ti assillano la mente. Le mamme, tutte le mamme hanno qualcosa di soprannaturale, di divino. Osservando la mia, un giorno, prima che poi volasse chissà dove, forse tra gli angeli, scrissi dei versi che però non le ho mai cantati, ma che farò stasera, guardando lassù, attraversando con lo sguardo le nuvole e la luna.

A mia madre
di Carmine Cecere (2008)

Eccola è lì, 
vitale più che mai, 
e viva è ogni cosa che lei tocca, 
ogni cosa che lei crea; 
essenza della mia esistenza. 

I miei giovani occhi 
la osservano attentamente,
i battiti del mio cuore
seguono i suoi,
sono uguali ai suoi.

I suoi occhi scuri
riflettono il mondo,
le mille preoccupazioni per me, 
per il mio futuro;
mentre le sue braccia
fragili e instancabili
mi stringono a sé
in un abbraccio interminabile.

E insieme siamo,
l’universo intero.



(Sopra, in foto, io e mamma nel 1963)

.................................................................

Non bisogna dimenticare

"Quella maledetta notte tra il 25 e il 26 febbraio del 2023 non và dimenticata". Nello splendido mare di Steccato di Cutro troveranno la morte degli esseri umani come noi, in fuga verso un mondo migliore. Saranno un centinaio a essere travolti dalla furia di un mare che non ha nessuna colpa, e tra i tanti corpi si conteranno numerosi bambini. Ecco, su questi ultimi il mio cuore andò in tilt, mentre seguivo le immagini alla TV ero bloccato sul divano, ma la mia mente era lì su quella spiaggia, raccoglievo i corpi, tentavo di salvarne qualcuno, ma erano solo i miei pensieri che diventavano parole di una poesia, di un canto di pietà, di un grido di solidarietà verso chi ha meno di noi e lotta per la propria libertà e dignità. Ho scritto i versi che seguono affinché ciò mi rimanga scolpito nella mente e affinché il mio cuore si apra verso l'altro che ha bisogno di me, di noi tutti e della tanto declamata solidarietà.


Kyterion (Cutro)
di Carmine Cecere (scritta il 28/02/2023)


Acqua di mare
che sa di morte,
Di onde assassine
che non hanno colpe.

Nemmeno il vento
È da condannare,
Fa il suo mestiere
Così come il mare.

Ma tu uomo, tu
Che sei il prediletto
Di un dio che piange
E a cui squarci il petto.

A cui ancora trafiggi
le mani e il costato,
Di nuovo una croce
Anche qui hai issato.

Acqua di mare
Innocente assassina,
non passa la notte
Seppur è mattina.

Di strazi e di corpi
la riva ci appare,
E i resti di un sogno
Ora sanno di sale.


(Sopra: foto tratta dal volume "Quale Umanità?" Edizione Idemedia, del giornalista Vincenzo Montalcini, direttore di crotonenews.it nel cui libro è inclusa anche la mia poesia). 

.....................................................................

Cosa avrà di speciale quest'uomo?
di Carmine Cecere
dedicata a tutti i Vigili del Fuoco 


Cosa avrà di speciale quest’uomo
che guardo ogni giorno,
con cui vivo ogni giorno,
con cui parlo ogni giorno.

Cosa avrà di speciale quest’uomo
che gioca con me,
che mi aiuta con i compiti,
che è lì ad ascoltarmi.

Cosa avrà di speciale quest’uomo
oltre ad essere mio padre,
oltre a essere di carne e sentimenti,
oltre al suo sorriso sempre presente.

Cosa avrà di speciale quest’uomo
che tira via dalle macerie un bimbo,
che stringe tra le mani un gatto,
che spegne l’inferno e il dolore.

Cosa avrà di speciale quest’uomo
che carica su di se i suoi e i problemi degli altri,
che trattiene le lacrime e la paura
senza abbandonarsi mai.

Cosa avrà di speciale quest’uomo
che dà la sua vita per la vita.


(Questa poesia la scrissi cercando di capire come vedono noi Vigili del Fuoco i nostri figli e i bambini in genere)

.......................................................................

Stella dei miei desideri

Il desiderio che esprimerò per la prima stella che vedrò cadere sarà quello affinché tutte le amarezze che leggeremo in queste poesie debbano diventare gioie per tutti i cuori tristi. Le lacrime pietre preziose da conservare, l'angoscia catapulta verso la speranza.


La notte delle Perseidi (San Lorenzo)
di Carmine Cecere (01/08/2023)

In questa notte di San Lorenzo,
La muraiola di casa mia
va a caccia di zanzare.
Mentre io a caccia di
luccicanti stelle cadenti.
La prima che vedrò la dedico a facce sconosciute.
La seconda a chi vorrebbe un grande amore pure avendolo a un passo dal cuore e non lo vede.
La terza ai silenzi delle persone che sanno ascoltare.
La quarta agli ipocriti che dicono, ma fanno diversamente.
La quinta a chi dell'amore ne fa un gioco.
La sesta alle persone care che stanotte mi guardano da lassù.
La settima alle lacrime che bagnano volti tristi.
L'ottava a mio nipote che sarà l'uomo di domani.
La nona alla bellezza come la sinfonia di Beethoven.
La decima alla speranza perché senza non c'è futuro.
E questo è tutto quello che vorrei accadesse stanotte.



Nessun commento:

Posta un commento