Mestieri di una volta


I Comuni della cinta a nord di Napoli, nell’antichità, traevano le proprie risorse economiche principalmente dal lavoro della terra e dall’artigianato, costituito dai diversi mestieri svolti in umili botteghe o dai tanti ambulanti che svolgevano la propria attività lungo le strade principali. Ciò è facile riscontrarlo nelle opere dei maggiori storici nostrani come il Chiarito, il Capasso, il Chianese, da Capecelatro e dalle opere documentaristiche del Barleri. L’immensa risorsa naturale, costituita da boschi, selve e fondi coltivabili, era quindi l’unica fonte di sussistenza per i Casali posti a nord del regno di Napoli. Dalle selve della Salandra e Pietraspaccata situate in Marano, i cosiddetti “severaioli”, lavoratori delle selve, maranesi, ricavavano il legno con cui rifornivano i bottari, i cestari, i seggiari e i mannesi (costruttori di carri). A Mugnano, nel XIX secolo, era diffusa, a carattere familiare, la lavorazione della canapa con la quale venivano confezionate le vele ed il cordame per le navi borboniche. Mentre il lavoro duro dei contadini del giuglianese riempiva di cereali i magazzini del regno e di tutta la città di Napoli. Ma inevitabilmente il progresso ha fatto si che molti mestieri di un tempo sparissero o in parte venissero modificati dalle nuove tecnologie. Il “piccolo mondo antico” dei nostri Casali era costellato da una miriade di lavori o pseudo tali, che di seguito ne riportiamo alcuni. Vi era ‘o masterascio, ovvero il falegname; ‘o ferraro, fabbro; mannese; (costruttore di carri e birocci) montese (lavoratore della pietra), mastuggiorgio (infermiere di manicomio); ‘mpagliasegge; ‘mbrellaro; mellunaro; massese (venditore di caglio); lutammaro (raccoglieva gli escrementi degli animali per poi rivenderli come concime); lavannara; funaro; furnaro; carrettiere; fravecatore (muratore); gavottisti (suonatori ambulanti); cravunaro (carbonaio); craparo (capraio); carnacuttaro (venditore di trippa); chianchiere (macellaio); carraffaro; castagnaro; canestraio o cestaio; callista; capera; bannararo (tappezziere); bancaruzzaro (venditore di roba vecchia); solachianiello (calzolaio), sarto e tanti altri ancora. Da un documento, tratto da “Arti e mestieri a Marano di Napoli” di Peppe Barleri, del 1578 e redatto in Marano di Napoli, ci si può rendere conto con quali modalità i ragazzi venivano avviati al lavoro… «Biagio Dattolo di Marano, con apposito patto, ha messo suo figlio Vincenzo Dattolo di 15 anni, a bottega presso Sabatino d’Alterio maestro barbiero della Villa di Marano perché impari l’arte di barbiere nei prossimi 5 anni. Egli ha promesso solennemente, senza eccezione alcuna di diritto o fatto, di far si che detto Vincenzo suo figlio perseveri, per l’intera durata del suddetto periodo, ad abitare continuamente col suddetto maestro Sabatino eseguendo fedelmente e diligentemente tutto ciò che il detto maestro gli comanderà relativamente alla teoria e alla pratica della sua arte. Farà in modo altresì, che si impegni a custodire e a salvaguardare le cose del maestro o quelle di chiunque altro fossero nella bottega di lui, a non commettere furti, e a non tenere mano chi volesse commetterli, a non fuggirsene o comunque a non separarsi dal maestro fino al compimento del suddetto termine. Se il ragazzo contravvenisse in qualche cosa, Biagio dovrà risarcire opportunamente il suddetto Sabatino indennizzandolo; in particolare farà sì che lo stesso Vincenzo risarcirà il maestro con il proprio lavoro, rimanendo presso di lui oltre il termine pattuito, per un numero di giorni pari a quelli in cui l’apprendista si fosse allontanato contro il volere del maestro. In oltre darà al maestro, portandogli a casa, un’oca, due focacce e due capponi ogni anno in occasione del Santo Natale. Parimenti il maestro Sabatino come contro parte, ha promesso al suddetto Biagio, stipulando per se e per i suoi eredi e a nome del suddetto Vincenzo, di insegnare e di istruire con cura Vincenzo nell’arte suddetta dandogli ogni anno da vestire». Il garzone viveva nella stessa casa del maestro per tutta la durata del contratto, dormendo ai piedi del letto del padrone. I contratti di apprendistato venivano stipulati da un notaio il quale rilasciava copia agli interessati. Gli apprendisti restavano presso il loro maestro a seconda della durata della loro professione. Per il tessitore occorrevano 5 anni; 6 anni per il fabbro; 6 per il mannese (costruttore di carri), 1 anno per il cucitore di scarpe; cappellaro 5 anni; montese (lavoratore della pietra) 1 anno e mezzo.


Foto anni 60, trattoria da Pisciuolo
In Via Napoli, in prossimità della chiesa
SS. Alfonso e Luigi

Mercatino del mercoledì quando 
Si svolgeva giù San Giovanni 


testo di Carmine Cecere

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