Mugnano e la canapa

Nel primo decennio del XIX secolo Mugnano contava più o meno 2900 abitanti e le principali risorse economiche erano tratte, inevitabilmente, dal lavoro della terra e dai suoi derivati. Uno dei poli trainanti era quello tessile con la lavorazione della canapa. Infatti da una mappa, stilata dall’amministrazione comunale dell’epoca, evince che il 45% delle coltivazioni era costituito da piantagioni di canapa, il restante 55%, invece, da grano. Nel 1900 il dato complessivo nazionale di colture di canapa raggiunse gli 80.000 ettari. La canapa per uso tessile ha radici alquanto remote e, a Mugnano come negli altri comuni limitrofi, veniva confezionata per tessuti e cordame. La maggior parte del lavorato copriva le richieste che pervenivano dal settore marittimo. La flotta borbonica, infatti, come le altre Repubbliche marinare, si approvvigionava di cordame e vele realizzate nei nostri comuni. Molte erano le famiglie mugnanesi occupate in questo settore la cui sede di lavoro, era, solitamente, la propria abitazione, coinvolgendo così l’intero nucleo familiare che, spesso, terminava la propria giornata lavorativa a tarda notte. Giuseppe Capasso, nel suo “Mugnano e Carpignano, la storia attraverso i documenti” edito nel 1990, cosi recitava: “Dagli usci delle case che davano sulla strada, il cui interno era protetto a mala appena dagli avanti porta, veniva fuori il battere regolare e faticoso dei telai che tessevano la canapa”. A Mugnano, sul finire dell’ottocento ed inizio novecento, inseguito ad un prospetto statistico si registrarono la presenza di circa cinquecento telai. Il Segretario della Camera di Commercio ed arti di Napoli, Moschetti, nella relazione statistica, del 1904, asseriva che la canapa prodotta nelle nostre terre era di qualità prelibata ma che non raggiungeva traguardi commerciali importanti per la mancanza di industrie tessili. Infatti su l’intero territorio della Provincia di Napoli, al momento della stesura della citata relazione, non esistevano lanifici, ne linifici, ne jutifici, ne tantomeno canapifici. Lavorare la terra a quell’epoca richiedeva dura fatica e spesso bastavano condizioni atmosferiche avverse per mandare in fumo tutto ciò che si era prodotto con il sudore della fronte. Gli strumenti che noi oggi possediamo avrebbero sicuramente alleviato i patemi di quei contadini che nei mesi autunnali lavoravano i campi con la zappa e con la vanga e tutto rigorosamente con la sola forza delle braccia. Per la semina della canapa e del grano si impiegavano delle piccole zappettine di ferro appuntite, fissate ad una sbarra con due manici detto il “ferrillo”con il quale si scavavano solchi alquanto fitti dove poi un altro lavorante immetteva il seme o la piantina. Nei mesi invernali il lavoro, invece, consisteva nella potatura; armati di roncole e smarazzole eliminavano tutte quelle imperfezioni, dando alle piante luce e flessuosità. La raccolta della canapa era un’opera alquanto massacrante. Gli alti steli venivano sradicati a forza di braccia e messi accatasti ad essiccare, dopodichè si legavano a fasci e trasporti dove poi gli si tagliava le radici. La canapa veniva fatta maturare nell’acqua delle vasche poste, un tempo, nei pressi dell’attuale chiesa di Santa Maria Assunta, adiacente Piazza Municipio. Ciò avveniva anche nelle acque del Lago Patria. Poi a distanza di alcuni giorni i fasci venivano tirati fuori e messi in piedi a forma di cono ed asciugati al sole. Negli antichi cortili sterrati, innanzi al proprio basso, avveniva la maciullazione con l’uso di un arnese chiamato “macenola”. Di questo attrezzo ce ne parla il Reverendo Gargiulo nel suo “Mugnano di Napoli fra storia e tradizioni”. «Quell'arnese consisteva in un affusto di legno pesante e compatto, della lunghezza di quasi due metri, poggiante col lato ricurvo su quattro assicelle di altezza differente come le zampe del canguro. Sul lato superiore correvano lunghe scanalature ad angolo, che nella parte centrale formavano uno spigolo. Su questo spigolo s'innestava la scanalatura di un tronco mobile, tenuto fermo ad una estremità da un piolo, che lo assicurava all'affusto di base. L'estremità mobile terminava con una specie di manopola, che permetteva di alzare e abbassare il tronco. Il lavoratore a torso nudo e grondante sudore da ogni parte, manovrava quel tronco con la destra in movimenti ritmici, mentre contemporaneamente con la sinistra poggiava abilmente un fascio di canapa asciutta sull'affusto e con duri e ripetuti colpi lo stritolava tutto, finché la canapa restava libera dalla parte legnosa. Alla fine lo stesso lavoratore la ripuliva a colpi di spatola, la pettinava, la torceva nella parte centrale e la preparava in tante matasse, che venivano a formare delle voluminose balle». I guadagni certo non corrispondevano al lavoro che questo materiale richiedeva, ma diverse furono le famiglie mugnanesi che con impegno e devozione emersero in questo settore e nel quale si realizzarono. Una su tutte fu quella di Andrea Taglialatela che, in seguito al proficuo commercio di canapa, acquistò l’antico palazzo del principe Capece Zurlo, l’attuale palazzo Capasso, sito di fronte la chiesa di san Biagio.

testo di Carmine Cecere

1 commento:

  1. Ha questa mappa del primo decennio del XIX secolo di Mugnano in cui si evidenziano le coltivazioni di canapa e grano ? Grazie

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