Mugnano e l'indipendenza feudale


Quel mercoledì del primo maggio del 1680 le campane di San Biagio chiamarono a raccolta il Pubblico Parlamento della Università (Comune) mugnanese che, riunitosi sul sagrato della cinquecentesca chiesa, approvò la risoluzione che impediva la vendita del casale voluta da Filippo IV di Spagna nel 1631. Quest’ultimo incaricò il vicerè Afan Enriquez de Ribera Duca d’Alcalà per la vendita di tutti i beni del regno, compresi i suoi Casali, per far fronte ai bisogni impellenti della corona spagnola. Ciò fu perseguito anche da Carlo V a cui il casale di Mugnano inoltrò la supplica di rimanere in “perpetuo demanio e sotto il dominio reale”. Cosa che fu accettata a fronte di una somma di circa diecimila ducati. Somma di cui una parte fu presa in prestito dai fratelli Flauto, possidenti ma non di stirpe nobile, residenti a quei tempi a Mugnano in Via San Lorenzo. I mugnanesi, a differenza degli altri comuni componenti la cinta settentrionale napoletana, furono liberi dal giogo baronale ma sommersi da un peso enorme di debiti se si pensa che il casale allora contava solo 1460 abitanti. A perenne ricordo di tale impresa si eresse il crocifisso ligneo in prossimità della piazza centrale; ed in merito a ciò il Sindaco, Biagio Vallefuoco, alla guida della città dal 1945 al 1956, orgoglioso dei suoi antenati affermava con enfasi: «Eppure in questa piazza sacra per i nostri ricordi e per i nostri avvenimenti, dove i nostri antenati, per non subire l'onta di una esosa ed umiliante schiavitù da parte dei famigerati signorotti medioevali, si sobbarcano a pagare un canone annuo, ed in segno del patto sancito, eressero un trono a Gesù Crocefisso, quale segnacolo del nostro riscatto, della nostra Libertà e Indipendenza». Marano invece fu acquistata dal Marchese di Cirella, o meglio fu regalata da Filippo IV di Spagna alla figlia di questi, Catarina, da tutti chiamata “reginella”, in quanto amante dello stesso sovrano, che ne prese possesso già nel 1632. La feudataria non fu molto amata dai maranesi, in quanto inflisse loro numerose gabelle. Infatti durante la rivolta di Masaniello, lazzari e contadini, diedero fuoco al palazzo baronale costringendola a fuggire dopo essersi lanciata da una finestra, mettendosi in salvo nascondendosi nelle oscure selve del Casale. Dopo tre anni dalla rivolta si fece pagare i danni causatele e per giunta con i relativi interessi. Anche Villaricca tentò di restare sotto il regio demanio ma non vi riuscì. Riunito il pubblico parlamento innanzi la chiesa madre, il 17 settembre del 1633, si propose la vendita del casale a Galeazzo Pinelli, duca di Acerenza o al Selano. Infatti fu ceduto a quest’ultimo al prezzo di circa 20360 ducati; il quale appena un anno dopo lo rivendette al Barone Gian Antonio Parisio. Nel 1700 il feudo passò al principe de Tassis, conte di Zellò e marchese di Paullo, il cui governo fu apprezzato dai cittadini in quanto fu generoso nell’apportare miglioramenti a favore del casale. L’ultimo governo baronale di Panicocoli fu quello del duca di Vastogirardi, Carlo Petra, la cui morte avvenne nel novembre del 1811. Uno dei primi feudatari del casale di Melito fu un tal Luca Antonio Valentino di Napoli al quale succedette poi Giacomo Antonio Valentino nel 1522. Il feudo passò poi a Giacomo Antonio Vulcano che nel 1594 cedette il feudo alla figlia Bernardina coniugatasi con Giovan Battista della Tolfa. Di barone in barone il feudo arriva ai Colonna di Stigliano che nel 1778 acquistarono anche il casale di Giugliano. I primi padroni di questo casale furono i Trotta e i Varavalla. Nel 1407 ne prendono possesso i Pignatelli e successivamente i Vulcano e gli Aversano. Mentre nel 1536, Giugliano, passò nelle mani di Cosimo Pinelli, duca di Acerenza; nel 1631 Galeazzo Pinelli nominò governatore di Giugliano Giambattista Basile. Calvizzano invece, dal 1419 al 1423, faceva parte dei beni di Giosuè Caracciolo, nobile cavaliere, signore di Montecalvo, di Buonalbergo e di altre terre. Nel 1495 passò a Francesco d’Allegro gran Siniscalco del regno di Sicilia. Dal 1497 al 1504 fu governato da Antonio de Raho, Uditore e Consigliere di Ferdinando I d’Aragona il quale lo nominò signore a vita di Calvizzano. Il primo ottobre del 1669 diventa barone di Calvizzano Francesco Carnero “Consigliere Collaterale dello stato di guerra e Maestro di Campo della fanteria spagnola”. La quartogenita di quest’ultimo, Margherita, nel 1681 sposò, con dispensa papale, suo cugino il duca Diego Pescara, divenendo, questi, duca di Calvizzano. Con le leggi emanate sotto il regno napoletano di Giuseppe Bonaparte nel 1806, il duca Giuseppe Maria Pescara perse il feudo. Nel 1340 Roberto D’Angiò diede Qualiano in feudo al Monastero napoletano di Santa Chiara e nel 1700 fu acquistato dal conte Sifola.

testo di Carmine Cecere

1 commento:

  1. Quando il Sindaco Biagio Vellefuoco affermava "Eppure in questa piazza sacra per i nostri ricordi e per i nostri avvenimenti, dove i nostri antenati, per non subire l'onta di una esosa ed umiliante schiavitù da parte dei famigerati signorotti medioevali, si sobbarcano a pagare un canone annuo, ed in segno del patto sancito, eressero un trono a Gesù Crocefisso, quale segnacolo del nostro riscatto, della nostra Libertà e Indipendenza" ignorava che per quel prestito nel natale del 1701 i Mugnani trafugarono alle suore di San Potito dei documenti attestanti il dovuto. Dieci anni dopo le suore vinsero la causa è il paese fù quasi in bacarotta. Molto meglio che non avvessero mai chiesto quel prestito. Da contadini non si fecero due conti sulla reale entità.

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