martedì 1 agosto 2023

Calvizzano, il “biscottificio” della cultura e altre storie

Pur essendo il comune più piccolo del circondario, Calvizzano annovera nel suo percorso storico-artistico eventi e personaggi di un certo rilievo, nonché ritrovamenti archeologici considerevoli. Come il ritrovamento della tomba d’età imperiale e dei resti dell’antica villa appartenuta, probabilmente, al centurione Caio Nummio; il quale faceva parte della “terza coorte petronia e decima urbana”, milizia istituita per la difesa dell’Imperatore. Ciò è quanto riportato dalle iscrizioni sulla lapide. Tale sepolcro, afferma il Syrleto, notaio calvizzanese e primo storico locale, fu eretto dai familiari del milite e distrutto, dai tombaroli, nel 1623: sostenendo, inoltre, che nelle vicinanze vi fosse un praedium, cioè una villa. Su tali fondamenta sorse la medievale chiesa di San Giacomo apostolo Maggiore. Fu forse una delle chiese più antiche del territorio: senz’altro fu una delle più importanti chiese della Diocesi napoletana e meta di pellegrini provenienti da ogni parte di Napoli; nel giorno dei festeggiamenti al santo devoto e cioè il 25 luglio, i Calvizzanesi in onore del loro patrono dispensavano a tutti i partecipanti del grano, da cui prese il nome: "Carità del Grano". Il soffio della rivoluzione francese passò anche per le nostre contrade e l’evento indelebile, il cui rilievo storico è stato sottolineato dal Reverendo Giacomo Di Maria, è senz’altro quello della cattura del glorioso uomo di mare Francesco Caracciolo. Ammiraglio della Marina Reale borbonica, il quale, in seguito alla sua adesione alla Repubblica partenopea del 1799, per sfuggire dalle grinfie della regina Maria Carolina che lo voleva morto, si rifugiò nel piccolo casale di Calvizzano, presso la casa del suo fidato nocchiere Antonio Chiapparo e dove dimorava anche il cugino Giuseppe Maria Pescara. Discendente, quest’ultimo, di Diego Pescara duca di Calvizzano dopo aver sposato la cugina Margherita, quartogenita di Francesco Carnero, Consigliere Collaterale dello stato di guerra e Maestro di Campo della fanteria spagnola. Nel salubre ambiente della Calvizzano d’inizio secolo novecento, il Maresciallo d’Italia, Armando Diaz, era sovente trascorrervi le vacanze estive insieme alla sua amata consorte Sara. Sara De Rosa, figlia di un avvocato e nipote dell’insigne magistrato Giuseppe Mirabelli, il quale fu senatore nel 1867, presidente poi, nel 1875, della Corte di Cassazione di Napoli: pubblicò diversi saggi giuridici e fu creato conte dal re Umberto I. Grazie a cotanta parentela che il podestà Domenico Mirabelli, nel corso del ventennio fascista, riuscì ad avere in dono, dal Generale Diaz, un cannone sottratto agli austro-tedeschi durante la prima guerra mondiale e che fu da ornamento al sacrario dedicato ai caduti calvizzanesi e inaugurato, nel 1934, da Umberto II di Savoia; il quale, come narra la cronaca de “Il Mattino”, fu accolto da una piazza festante e dalla fanfara. Ma ciò che rimembrano con piacere i calvizzanesi e non solo è lo storico biscottificio Gagliardi. Rinomato anche oltre i confini dello stesso comune, il detto opificio fu fondato da Raffaele nel 1922, il quale già lavorava presso quello dell’azienda Castaldi di Napoli. Dal lavoro del qualianese Giovanni Sabatino: “Aspetti e testimonianze storico architettoniche dell’area giuglianese”, traiamo quanto segue: «Il biscottificio Gagliardi contribuì non poco a far conoscere la cittadina di Calvizzano, oltre i suoi angusti confini. L’attività di don Raffaele, dopo la morte avvenuta negli anni ’40, fu ereditata dal figlio Giacinto con lo stesso entusiasmo ed amore, nel modesto laboratorio con l’annesso punto vendita. I prodotti, nel rispetto della tradizione paterna, furono i biscotti comuni: stampati e siringati (tecnica di lavorazione del biscotto classico partenopeo) e il “biscotto al cioccolato”, ormai famoso in tutta la Campania con il nome di “biscotto di Calvizzano”». Però purtroppo, nel 1991, con la scomparsa dell’ultimo artigiano di casa Gagliardi, lo storico opificio chiuse i battenti per poi riaprirli in veste di biblioteca comunale nel duemila. La struttura, aperta per circa otto anni, seppure angusta, conservava in buona parte il suo aspetto originario. Vi era ancora l’antico forno e le volte erano costituite dal classico mattonato rosso. L’ambiente si presentava accogliente e i volumi disponibili, in parte, soddisfacevano l’ampia utenza che faceva uso del biscottificio culturale. Ahimè, purtroppo, chiuse i battenti già diversi anni or sono.


(Foto sopra: interno del biscottificio, foto scattata da Carmine Cecere nel febbraio del 2008.)

Testo di Carmine Cecere 

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