Già durante il dominio
dell’antica Roma era uso ostentare in battaglia gli stendardi su cui venivano
rappresentati i simboli dell’imperatore regnante, ma in sostanza l’araldica
prende vita sul finire del XII secolo. Pionieri di tale pratica furono
senz’altro i nobili e i guerrieri, i quali si servirono di ciò per legittimare
la loro appartenenza a una famiglia o a un gruppo politico. La raffigurazione
degli stemmi era varia e accurata era la ricerca della simbologia. Gli studiosi
del ramo riferiscono che il ricorso all’uso degli emblemi avvenne durante le
Crociate, anche se la maggior parte degli storici sono giunti alla conclusione che,
per risolvere i problemi di identificazione durante i tornei, a causa degli
elmi chiusi, si dovette ricorrere a segni convenzionali impressi sulle armature
per poter riconoscerne i partecipanti. Quindi gli antichi stemmi furono, come
per noi oggi la carta di identità, un documento di riconoscimento: in essi si
racchiudevano, in maniera sintetica, i dati personali. L’araldica civica risale
all’avvento dei Comuni e solo nel XIII secolo il fenomeno si estese in tutta
Europa. Anche i Comuni della fascia a nord di Napoli, quindi, si dotarono, nel
corso della loro esistenza, di questi dispositivi, anche se per alcuni di
questi non si conoscono le date ne il significato dei simboli scelti. L’ipotesi
che il toponimo Mugnano derivasse da Munio,
ossia mura e non mugnai, fece si che l’emblema, coniato con l’avvento
dell’unità d’Italia, fosse di nuovo sostituito con il D.P.R. del 11 Novembre
del 1974. Difatti l’antico stemma, nel quale era raffigurato un mugnaio che
faceva girare una macina con l’aiuto di un asino, venne sostituito con
l’attuale così composto: uno scudo azzurro, con tralcio di vite posto in banda
abbassata sul fianco sinistro dello scudo, pampinoso di sei e fruttato di
quattro, il tutto d'oro, sormontato da uno stiletto d'argento posto in palo
manicato d'oro con ornamenti esteriori da Comune. Le cronache maranesi riportano
che in piazza Arco vi fosse un antico e gigantesco tiglio, piantato, come
albero della libertà, durante la rivoluzione partenopea e che nel 1845 fu
abbattuto perché vetusto e malaticcio. È probabile che l’autore dello stemma di
Marano si sia ispirato all’antico albero, poiché l’emblema è cosi composto: un
campo azzurro con al centro uno scudo ed un tiglio, recante alla base un putto
alato, che poggia i piedi su un prato verde; lo scudo è sormontato da una
corona di torri civiche e percorso nei due lati sottostanti lo scudo da un ramo
di ulivo, ed uno di quercia, annodati in basso con fiocchi e nastro in oro. Il
fantastico toponimo di Calvizzano, a detta del suo primo storico, il notaio
Marco Antonio Syrleto, derivi dal fatto che nell’antichità, in seguito alle
tante guerre e pestilenze “si trovavano molti sepolcri ripieni solamente di
teschi, che egli chiama “Calvice”. Quando in un secondo momento i sani
sarebbero venuti ad abitare nel nostro territorio, dall’unione dei Calvi ai
sani, sarebbe venuto il nome Calvisani, dal volgo, in seguito, tradotto in
Carvizzano e poi Calvizzano”. Di parere diametralmente opposto è il sacerdote
Raffaele Galiero, il quale, nel suo “Il mio paese” pubblicato negli anni ’70,
asseriva che la cittadina prese il nome dell’antica famiglia romana Calvisia e
cioè Calvisiano poi Calbictiano ed infine Calvizzano. Lo stemma è attualmente così
composto: di colore verde ed uno scudetto barocco d’argento, caricati di una
testa calva, rivolta di profilo al naturale. Il vessillo di Giugliano si rifà
in un certo qual modo alla posizione geografica del luogo, nonché alla
conformazione del territorio essendo situata nella zona denominata “Campus Leborius”. Nello stemma è
riprodotta una donna gravida che riposa distesa
su di un lembo di spiaggia della Campania Felix; questo ideogramma, oltre a
designare la fertilità del territorio, si riferisce alla città di Cuma (il
termine “sono incinta”, difatti, corrisponde al greco “Kumaìno” la cui radice è
la stessa di “Kume”). Quello di Qualiano è alquanto complesso e “consiste
in un rettangolo in tre tronconi, in alto è raffigurata una torre merlata. Nel
primo troncone con fondo rosso porpora vi sono due rami di quercia e di alloro
annodati da un nastro dai colori Nazionali; nel troncone di centro con fondo
dorato vi è rappresentata la figura di Santa Chiara che stringe fra le mani un
calice con l'Ostia Consacrata; nel troncone di sotto con fondo rosso vi è una
quaglia al naturale. Il tutto circondato da due rami, uno di quercia ed un
altro di alloro, annodati da un nastro di colore rosso”. Qualiano, dal 1340 al
1805, fu feudo del monastero di S. Chiara in Napoli. Lo stemma fu concesso con
Regio Decreto del 15 ottobre 1935. Il significato del toponimo Melito sembra essere
alquanto esplicitamente nel nome stesso e cioè meleto; come pure nello stemma è
presente un albero del citato frutto. Contrariamente, però, a quanto riferisce
Antonio Jossa Fasano nel suo “Melito nella storia di Napoli” del 1978, il quale
sostiene che le denominazione Melito derivi da melma, poiché nell’antichità “le
acque ristagnanti nel pubblico fossato invadevano, nei periodi di piena, il
terreno circostante”. Nell’emblema di Villaricca sono presenti tre spighe di
grano, le cui spighe palesano l’antica attinenza con la denominazione
Panicocoli. L’attuale stemma è cosi composto: Fondo azzurro, lupo al naturale
su di una pianura di verde, sormontato da tre spighe di grano al naturale,
circondato da due rami di quercia e di alloro annodati da un nastro dai colori
nazionali, il tutto sormontato da una corona con nove torri. Fu concesso con
Regio Decreto il 14 Ottobre del 1937.
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Comune di Qualiano |
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Comune di Marano |
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Comune di Calvizzano |
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Comune di Melito |
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Comune di Giugliano |
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Comune di Villaricca |
Sopra: stemma del Comune di Mugnano
Testi di Carmine Cecere
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