mercoledì 19 luglio 2023

Storia degli emblemi dei Comuni a nord di Napoli

Già durante il dominio dell’antica Roma era uso ostentare in battaglia gli stendardi su cui venivano rappresentati i simboli dell’imperatore regnante, ma in sostanza l’araldica prende vita sul finire del XII secolo. Pionieri di tale pratica furono senz’altro i nobili e i guerrieri, i quali si servirono di ciò per legittimare la loro appartenenza a una famiglia o a un gruppo politico. La raffigurazione degli stemmi era varia e accurata era la ricerca della simbologia. Gli studiosi del ramo riferiscono che il ricorso all’uso degli emblemi avvenne durante le Crociate, anche se la maggior parte degli storici sono giunti alla conclusione che, per risolvere i problemi di identificazione durante i tornei, a causa degli elmi chiusi, si dovette ricorrere a segni convenzionali impressi sulle armature per poter riconoscerne i partecipanti. Quindi gli antichi stemmi furono, come per noi oggi la carta di identità, un documento di riconoscimento: in essi si racchiudevano, in maniera sintetica, i dati personali. L’araldica civica risale all’avvento dei Comuni e solo nel XIII secolo il fenomeno si estese in tutta Europa. Anche i Comuni della fascia a nord di Napoli, quindi, si dotarono, nel corso della loro esistenza, di questi dispositivi, anche se per alcuni di questi non si conoscono le date ne il significato dei simboli scelti. L’ipotesi che il toponimo Mugnano derivasse da Munio, ossia mura e non mugnai, fece si che l’emblema, coniato con l’avvento dell’unità d’Italia, fosse di nuovo sostituito con il D.P.R. del 11 Novembre del 1974. Difatti l’antico stemma, nel quale era raffigurato un mugnaio che faceva girare una macina con l’aiuto di un asino, venne sostituito con l’attuale così composto: uno scudo azzurro, con tralcio di vite posto in banda abbassata sul fianco sinistro dello scudo, pampinoso di sei e fruttato di quattro, il tutto d'oro, sormontato da uno stiletto d'argento posto in palo manicato d'oro con ornamenti esteriori da Comune. Le cronache maranesi riportano che in piazza Arco vi fosse un antico e gigantesco tiglio, piantato, come albero della libertà, durante la rivoluzione partenopea e che nel 1845 fu abbattuto perché vetusto e malaticcio. È probabile che l’autore dello stemma di Marano si sia ispirato all’antico albero, poiché l’emblema è cosi composto: un campo azzurro con al centro uno scudo ed un tiglio, recante alla base un putto alato, che poggia i piedi su un prato verde; lo scudo è sormontato da una corona di torri civiche e percorso nei due lati sottostanti lo scudo da un ramo di ulivo, ed uno di quercia, annodati in basso con fiocchi e nastro in oro. Il fantastico toponimo di Calvizzano, a detta del suo primo storico, il notaio Marco Antonio Syrleto, derivi dal fatto che nell’antichità, in seguito alle tante guerre e pestilenze “si trovavano molti sepolcri ripieni solamente di teschi, che egli chiama “Calvice”. Quando in un secondo momento i sani sarebbero venuti ad abitare nel nostro territorio, dall’unione dei Calvi ai sani, sarebbe venuto il nome Calvisani, dal volgo, in seguito, tradotto in Carvizzano e poi Calvizzano”. Di parere diametralmente opposto è il sacerdote Raffaele Galiero, il quale, nel suo “Il mio paese” pubblicato negli anni ’70, asseriva che la cittadina prese il nome dell’antica famiglia romana Calvisia e cioè Calvisiano poi Calbictiano ed infine Calvizzano. Lo stemma è attualmente così composto: di colore verde ed uno scudetto barocco d’argento, caricati di una testa calva, rivolta di profilo al naturale. Il vessillo di Giugliano si rifà in un certo qual modo alla posizione geografica del luogo, nonché alla conformazione del territorio essendo situata nella zona denominata “Campus Leborius”. Nello stemma è riprodotta una donna gravida che riposa distesa su di un lembo di spiaggia della Campania Felix; questo ideogramma, oltre a designare la fertilità del territorio, si riferisce alla città di Cuma (il termine “sono incinta”, difatti, corrisponde al greco “Kumaìno” la cui radice è la stessa di “Kume”). Quello di Qualiano è alquanto complesso e “consiste in un rettangolo in tre tronconi, in alto è raffigurata una torre merlata. Nel primo troncone con fondo rosso porpora vi sono due rami di quercia e di alloro annodati da un nastro dai colori Nazionali; nel troncone di centro con fondo dorato vi è rappresentata la figura di Santa Chiara che stringe fra le mani un calice con l'Ostia Consacrata; nel troncone di sotto con fondo rosso vi è una quaglia al naturale. Il tutto circondato da due rami, uno di quercia ed un altro di alloro, annodati da un nastro di colore rosso”. Qualiano, dal 1340 al 1805, fu feudo del monastero di S. Chiara in Napoli. Lo stemma fu concesso con Regio Decreto del 15 ottobre 1935. Il significato del toponimo Melito sembra essere alquanto esplicitamente nel nome stesso e cioè meleto; come pure nello stemma è presente un albero del citato frutto. Contrariamente, però, a quanto riferisce Antonio Jossa Fasano nel suo “Melito nella storia di Napoli” del 1978, il quale sostiene che le denominazione Melito derivi da melma, poiché nell’antichità “le acque ristagnanti nel pubblico fossato invadevano, nei periodi di piena, il terreno circostante”. Nell’emblema di Villaricca sono presenti tre spighe di grano, le cui spighe palesano l’antica attinenza con la denominazione Panicocoli. L’attuale stemma è cosi composto: Fondo azzurro, lupo al naturale su di una pianura di verde, sormontato da tre spighe di grano al naturale, circondato da due rami di quercia e di alloro annodati da un nastro dai colori nazionali, il tutto sormontato da una corona con nove torri. Fu concesso con Regio Decreto il 14 Ottobre del 1937.

Comune di Qualiano 
     
Comune di Marano


Comune di Calvizzano 

        

Comune di Melito 


Comune di Giugliano 

Comune di Villaricca 


















Sopra: stemma del Comune di Mugnano
Testi di Carmine Cecere 

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