Re Umberto I di Savoia, nel 1892,
conferì all’illustre calvizzanese Giuseppe Mirabelli il titolo di Conte. Titolo
che culminava la prestigiosa carriera di magistrato prima e di senatore poi. Giuseppe
Maria nacque a Calvizzano nel 1817, entrò in magistratura nel 1841 rivelandosi giurista
di inaspettate qualità fino ad ottenere l’ufficio di Giudice di Gran Corte
Criminale. Carica da cui fu estromesso nel 1849 dal governo borbonico, per i
suoi palesi sentimenti liberali e che poi rifiutò quando Ferdinando II lo
richiamò a riprendere di nuovo l’esercizio. Con l’unità d’Italia riprese la sua
professione, rientrando in magistratura e rivestendo, poi, la carica di Primo
Presidente della Corte di Cassazione di Napoli. Nel 1861 fu deputato
parlamentare, dopodichè prese posto tra gli scranni del Senato e dove “portò,
nell’alto Consesso, la sua vasta cultura giuridica”. Ritiratosi nella sua casa
di Napoli, trascorse il suo collocamento a riposo pubblicando monografie
giuridiche fino a quando nel 1901 lasciò questa terra. La figlia Maria andò
in sposa a Federico De Rosa dalla cui unione nacque Sara. Nel clamore della
“Belle Epoque” la borghesia napoletana era sovente trascorrere i giorni
d’estate ai bagni di mare. Rinomati erano quelli di Portici, il cui luogo fu
galeotto per l’incontro, determinante, tra le famiglie Diaz e De Rosa. Tra i rampolli delle due rispettive famiglie, Armando e Sara, nacque una tenera amicizia
culminata poi in amore. La famiglia di lei non era per niente entusiasta di
questa unione, poiché per la figlia auspicavano un partito migliore. Armando Diaz
aveva 12 anni in più rispetto a Sara quando chiese la sua mano alla famiglia De
Rosa. Dopo due anni di fidanzamento il matrimonio fu celebrato nella chiesa di Santa
Maria la Nova,
Sara aveva appena 21 anni. All’indomani del matrimonio la coppia si trasferì a
Roma dove ebbe tre figli: Marcello, Anna ed Irene. La carriera del giovane
capitano era tutto un crescendo. Nel 1911 tornò dalla campagna di Tripoli con
la medaglia d’argento, ottenuta dopo il ferimento nella battaglia di Zanzur al
comando del 21° reggimento. Dopo la disfatta di Cadorna a Caporetto, all’ardimentoso
Diaz fu affidato il Comando supremo delle forze armate italiane. Sara era
orgogliosa del suo Armando e lui apprezzava i consigli che lei spesso, con
passione, gli suggeriva. La vita che i due dovettero affrontare non fu certo
cosa facile, visto che il generale era quasi sempre lontano da casa e
continuamente in pericolo. Fra i due però vi era un’intensa corrispondenza, un
bisogno imprescindibile dell’anima, quel filo del telefono da campo, poi, li
teneva sempre uniti. Spesso capitò che i coniugi Diaz, per scaricarsi di dosso
la tensione dei momenti difficili, trascorressero i caldi giorni d’estate a
Calvizzano, nella casa del nonno Giuseppe, lontani dai fasti della vita
mondana. Il piccolo paesello di allora offriva, al Maresciallo d’Italia, la
quiete che desiderava e la salubrità della vegetazione circostante: dove nei meriggi
assolati amava starsene all’ombra degli alberi nel giardino dei parenti. Vinta
la “grande guerra” il generale Diaz, su richiesta del Podestà Domenico
Mirabelli, cugino di Sara, regalò, per completare il monumento ai caduti
calvizzanesi, un cannone sottratto al nemico austriaco. Il generale si spense
nella casa romana nel 1928,
a causa di una polmonite. Sara, invece, visse per altri
23 anni nel ricordo e tra i cimeli di guerra del generale: come scrisse sulle
pagine de “Il Mattino” il cronista Donato Martucci, quella domenica del 1951,
all’indomani della dipartita della Duchessa della Vittoria Sara De Rosa Diaz.
(Nella foto in alto: al centro il Generale Diaz a Calvizzano. Foto concessaci dall'ing. Davide Bruno dei conti Mirabelli)
testi di Carmine Cecere
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