Don Rolando Rossetti; suddiacono Capasso Nicola; i seminaristi Vallefuoco Luigi e Imperatore Pasquale. Furono uccisi dalla furia nazista il 1 ottobre del 1943, dopo che i 4 si recarono presso il comando tedesco di stanza a Giugliano onde scongiurare una rappresaglia nei confronti dei mugnanesi, poiché le truppe germaniche, in virtù dell'entrata in Napoli da parte degli alleati, stavano retrocedendo senza prima lasciare sul campo morte e distruzioni. I ragazzi furono trucidati nelle campagne tra Villaricca e Mugnano, verso l'allora via Aurelio Padovani, oggi Via 4 Martiri. Le varie Amministrazioni cittadine che si sono succedute li vollero ricordare con una lapide affissa presso la Casa comunale e con un monumento posto in prossimità dell'ingresso del cimitero consortile. Il testo che segue è tratto dal romanzo storico di Mons. Francesco Gargiulo: "Le Foglie non parlano" - Loffredo Editore, Napoli, 1970.
"Appena
fu giunto a poca distanza da loro, e li ebbe riconosciuti, quello individuo
s'inferocì come un toro, divenne rosso in viso, lampeggiò guizzi fulminei dagli
occhi risplendenti, si scosse in tutta la persona, gesticolò forsennatamente
come una furia, anzi parve loro addirittura un demonio. Sempre furente di
rabbia, biascicò delle parole, che nessuno comprese, ma che tutti intuirono con
chiarezza, e presentirono che la loro esistenza stava per essere stretta come
in una morsa potente da qualche cosa di inesprimibile, che diffondeva il
sentore della morte, e ne faceva assaggiare con spossante amarezza tutto l'acre
sapore. «Eravamo come pietrificati per il grande spavento che ci aveva presi
tutti insieme, e nessuno, né Don Rolando, né tanto meno Nicola, ebbe il
coraggio e la possibilità di dire una sola parola, di chieder una spiegazione.
Intanto quel tedesco, che doveva essere un sottotenente, andava su e giù
nervosamente, impartendo ordini ai suoi subalterni », soggiunse Francesco. « Ma
non potevate dire che eravate diretti dal parroco a Villaricca? » gli obiettò
qualcuno. ‑ « E' facile dire questo ora, ma in quel momento tutto ci fu
impossibile, e mi meraviglio io stesso del modo col quale ci siamo comportati
in quella situazione così grave; credo che la sola vista di quell' energumeno
ci dovette infondere tanta paura, da farci perdere la testa e il controllo di
noi stessi », rispose Francesco. Proseguendo
nella sua narrazione, ricordò che per lo stordimento in cui erano precipitati,
non capirono più nulla, perché, in fila indiana come stavano, non si avvidero
nemmeno che i tedeschi, a un cenno del loro capo, si erano piazzati l'uno in
testa e l'altro in coda alla fila con i fucili in spalla. Mentre intontiti
stavano ascoltando quel sottotenente, che non si stancava mai di urlare e di vociferare,
si accorsero di essere di nuovo in cammino, senza sapere dove volessero
condurli. Naturalmente Nicola, che doveva aver capito parecchio, il più pallido
di tutti, e proprio lui, che era di carnagione piuttosto scura, aveva un viso
di cera, e dagli occhi divenuti lucentissimi traspariva l'interna agitazione;
la bocca era semiaperta e come irrigidita nel tentativo di voler dire qualche
cosa importante, ma non vi riusciva, perché la lingua gli si era paralizzata, e
dalla gola veniva fuori un rantolo roco e affannoso. Il primo a riprendersi fu
Don Rolando che, fissando negli occhi Nicola, intuì tutta la tragicità della
situazione, in cui erano venuti a trovarsi. A uno a uno mirò i compagni di sventura
con uno sguardo paterno e accorato, mentre gli passavano davanti, per rimettersi
in cammino lungo i binari. Poi si fece animo, disse poche parole di
rassegnazione col groppo nella gola, e con le lacrime che gli sprizzavano dagli
occhi invitò i confratelli a raccomandarsi alla Mamma Celeste, ad affidarsi a
Lei in quel difficile momento, pregandola con il S. Rosario. Dunque
li si voleva fucilare? Dunque venivano condotti al luogo di esecuzione? Tra
poco la loro vita sarebbe finita? Ma perché? Che cosa avevano fatto dì male? A
chi avevano nociuto? Perché si agiva così nei loro riguardi? Come farsi capire?
Come manifestare le proprie ragioni? Perché Nicola non parlava più? Non sapeva
lui solo il tedesco? Perché non tentava di farsi ascoltare dal comandante? Che
cosa gli era successo? Queste e numerose altre domande si affollavano nelle
loro menti a mano a mano che pigliavano coscienza della cruda realtà, mentre le
note dell'Ave Maria risuonavano flebili nell'aria, a tratti smorzate dai
singhiozzi e dalle lacrime di tutti. Ma
la vera agghiacciante realtà si aperse chiaramente spaventosa ai loro occhi,
solo quando, giunti su uno spiazzo pianeggiante, dove era già ad attenderli
impaziente il comandante, furono fatti schierare su un lato, rimanendo sempre
in fila indiana. D'improvviso ci furono degli ordini concitati, dei bagliori,
delle grida laceranti, dei colpi sordi, delle pietose e lamentevoli invocazioni
di aiuto. « Fu
come un'allucinazione, diceva Francesco, io stavo all'ultimo posto e
nell'istante stesso in cui il tedesco, che mi era accanto, si allontanò da me,
tentai l'intentabile, incoraggiato, non so perché, da un segno, che di lontano
l'altro tedesco pareva fare con accortezza verso di noi, per indurci a fuggire.
Sentii, allora, ribollire in tutto il mio essere una forza poderosa, il
coraggio mi scosse potentemente e con un balzo improvviso scavalcai la siepe,
presso la quale mi trovavo, e, senza perdere tempo, me la diedi a gambe per i
campi, mentre tutt'intorno incominciarono quasi subito a sfrecciare numerosi
colpi dì proiettili. Fui provvidenzialmente salvato da essi dal groviglio delle
piante, tra le quali correvo all'impazzata, pensando solo a fuggire e ad allontanarmi
il più possibile e con grande sveltezza da quel luogo di morte. Non conoscevo
ostacoli, e, quando improvvisamente mi vidi sbarrato il passo da un fitto
reticolato campestre, presso il quale ero giunto sempre correndo, non mi
perdetti dì coraggio. Senza esitare il minimo istante, mi tolsi la tonaca, che
poteva farmi rimanere impigliato in quei reticolati nello scavalcarli, e la
gettai distesa contro di essi. Così protetto dalla tonaca mi arrampicai
facilmente come un gatto e saltai dall'altra parte, continuando poi a fuggire
per i campi verso una masseria, che avevo intravisto tra gli alberi, per
cercarvi uno scampo......... Le
due donne, intanto, avanzavano lungo i piccoli sentieri dei campi, l'una dietro
l'altra, la madre tenendo in mano il bastone e la figlia una robusta verga, con
cui andavano smuovendo le foglie, quando le vedevano riunite in piccoli mucchi.
Da lontano Dario riuscì finalmente a intravederle, mentre erano intente in una
ricerca affannosa tra alcune piante dì mele; provandone un gran sollievo, il
giovane affrettò di più il passo. Nel frattempo le donne, che erano giunte nei
pressi di un grosso melo con parecchi rami schiantati, subito si erano guardate
in viso, con gesto molto espressivo, quasi a chiedersi a vicenda e con intima
apprensione, se non fossero arrivate alla pianta che cercavano. La solitudine
era opprimente ed ogni più lieve fruscio faceva sobbalzare le due donne, che
erano di nuovo impegnate in una concitata ricerca a breve distanza l'una dall'altra.
Per quanto si fosse affaticato, Dario non era riuscito a raggiungerle ed era
ancora distante da esse un centinaio di passi. A un dato momento donna Teresa,
smettendo ogni ricerca, si fermò ritta in piedi presso il melo, lo osservò con
attenzione, lo fissò a lungo con impazienza e attentamente, quasi volesse richiamare
alla mente qualche particolare di grande importanza. Poi, convintasi che quello
doveva essere in realtà il melo indicato dal contadino, si abbandonò a dei
gesti concitati come in preda a un forte delirio. Si portò poi con mosse
nervose le mani alla tempia, quasi a comprimere gli spiacevoli ricordi, che
l'angustiavano; fece, barcollando, qualche passo, seguita alle costole dalla madre;
si avvicinò in atto pietoso a delle foglie ingiallite, ancora unite a un grosso
ramo schiantato e ripiegato all'ingiù lungo la pianta, le palpò dolcemente come
se volesse carpire da esse la rivelazione di un gran segreto, che le stava a
cuore. D'improvviso
il suo sguardo s'illuminò, divenne lucido e splendente, gli occhi fattisi
vitrei, le si sbarrarono dalle orbite, i capelli brizzolati le si rizzarono sul
capo, le labbra le tremarono nello sforzo di voler parlare, di voler dire
qualche cosa, e, subito dopo, incominciò a proferire parole strane e
incomprensibili a quelle foglie inerti, come a interrogarle, perché le
dicessero quanto sapevano, le facessero conoscere la verità, esse che erano pur
state le mute testimoni della tragica ora del figlio. « Si, voi l'avete visto,
ne sono certa », gridò poi come vinta dal dolore, « perché non mi parlate? Perché
non mi dite quello che avete visto? Perché non mi dite dove si trova il mio
Luigino? Parlate, per carità! Voi lo sapete, parlate! ». Mentre
grossi goccioloni di lacrime cadevano giù a profusione dalle gote della povera
donna, il cane Bob che fino ad allora l'aveva seguita saltellando e
scodinzolandole intorno, si era messo a correre all'impazzata su e giù,
fermandosi spesso ad annusare qualche cosa a pochi passi di distanza. Avendo
osservato l'insolita agitazione del cane, che si era fermato un ramo caduto e
aveva incominciato ad abbaiare verso di lei donna Teresa trattenne le lacrime,
si scosse incuriosita e corse veloce verso il cane, che aveva preso ad abbaiare
con pia insistenza. Dario, che, intanto, aveva affrettato il passo ed era
giunto presso la zia, allorché questa fece l'atto d'inchinarsi per sollevare il
ramo, la prevenne, mentre il cane continuava ad abbaiare furiosamente. Il
giovane, ben lontano dall'immaginare quanto stava per verificarsi, prese alla
svelta il ramo, lo sollevò di peso e lo poggiò a terra a poca distanza. Fece
appena in tempo a rivolgersi su se stesso che il cane cessò di abbaiare forte
ed emise dei prolungati mugolii lamentosi. Il giovane portò subito lo sguardo
sulla zia e dovette per un istante rimanere col respiro sospeso, perché se la
vide davanti come impietrita dal dolore; la donna, fissando intensamente
qualche cosa a terra, emise un alto grido e si piegò su se stessa dicendo: « La
mano, la mano! Non la vedete? ». Il
nipote con un balzo le fu vicino e la sorresse, aiutato prontamente dalla
nonna, che, avendo capito subito ogni cosa, si era precipitata verso la figlia
per soccorrerla. Donna Teresa, sussultando nella persona, prese a gridare con
voce accorata: « Luigino, Luigino mio, come ti ho ritrovato! Ti hanno ucciso
quei barbari, quei disumani, quei figli senza mamme! ». Inutilmente
Dario e la nonna cercavano di fare del loro meglio per calmarla, la povera
Teresa era inconsolabile. Poi come una forsennata si divincolò dalle loro mani
e, fatti pochi passi, s'inginocchiò a terra, e incominciò a raspare
furiosamente il terreno con le mani. Smosse così le poche foglie secche, cadute
su quel terreno dissodato di recente, si vide spuntare fuori tutta una mano
inerte con grosse chiazze di nero sangue raggrumato e incrostato di terra. Non
c'erano più dubbi; ci si trovava davanti ai giovani ecclesiastici, come indicò
quasi subito la comparsa di un lembo di tonaca nera imbrattata di sangue e di
terra, che venne fuori in seguito ai primi affannosi movimenti delle mani di
Teresa. Non c'era, quindi, più tempo da perdere e bisognava agire con energia e
con coraggio. Dato così un primo incontenibile sfogo alla propria commozione e
all'irrefrenabile pianto, Dario con la nonna si adoperò per calmare la zia e
indurla a desistere da quanto stava facendo, dopo averla aiutata per un poco a
smuovere alla meglio il terreno. Intanto erano accorsi sul luogo due contadini,
richiamati dalle grida di donna Teresa e dall'insistente abbaiare del cane. I
due salutarono Dario, che li informò brevemente dell'accaduto, e poiché essi
conoscevano bene le due donne, riuscirono con buone e convincenti maniere a
farle allontanare un poco da quella desolante tomba campestre. Donna Teresa era
la più restia a cedere, perché diceva che doveva scavare essa stessa il figlio
per evitare che gli si potesse fare ancora del male, ma i due contadini seppero
agire con grande prudenza. Essi non solo promisero che avrebbero provveduto a
rimuovere il terreno con molta cautela, ma diedero anche le più ampie
assicurazioni che avrebbero agito con calma e con discrezione, come se si fosse
trattato di persone loro care. Uno di essi rientrò nella masseria a premunirsi
del necessario, e subito dopo si accinsero insieme a quella pietosa opera. Nel
frattempo sopraggiunse un ragazzetto sui dodici anni, piccolo di statura e
molto agile, di nome Gianni, figlio di uno dei due contadini. Il padre appena
lo vide venire, lo chiamò presso di se e gli disse dì recarsi alla svelta a
Mugnano ad Avvisare che i giovani erano stati trovati sepolti nei pressi di
melo poco lontano dalla masseria «Cannito». Il ragazzo non se lo fece ripetere
una seconda volta e ì di corsa in direzione di Mugnano, mentre sul luogo
giungevano un vecchietto e due donne, le quali indussero donna e la madre ad
allontanarsi di più da quel luogo, per più liberi i loro mariti nel compiere il
loro lavoro. Nell'aria incominciava a
sentirsi già un odore poco gradito, e non era prudente rimanere più a lungo
così vicino a quel luogo. Poiché furono subito portate delle sedie, madre e
figlia, incoraggiate anche da Dario, accondiscesero a sedersi su di esse a una
distanza ragionevole e in posizione tale da poter seguire ogni movimento dei
due contadini. Anche stando sulle sedie e per quanto spossate dalla stanchezza,
non perdettero mai di vista quanto veniva fatto sotto i loro occhi, e non
prendevano in considerazione le varie domande che rivolgevano loro le due
contadine per distrarle. Presso di esse a breve distanza stava in piedi Dario,
che seguiva con attenzione tutto lo svolgersi dì quella triste scena, volgendo
il suo sguardo ora al gruppo delle donne, ora ai contadini intenti al loro
lavoro. Quando, però, la zia gli fece cenno di avvicinarsi a lei, egli ne provò
un grande sollievo, e come per incanto capì che poteva liberarsi da una
situazione che diveniva per lui sempre più imbarazzante, perché non era mai
riuscito a dominare pienamente quel senso di occulto e inspiegabile timore, che
lo invadeva ogni volta che veniva a trovarsi davanti a dei morti. La zia, parlandogli
tra i singhiozzi, gli disse che era opportuno che egli si recasse a casa per
preparare lo zio Fernando a ricevere una così dolorosa notizia. Dario, che in
genere amava esporsi a provare le più forti emozioni, accettò subito e con
piacere, pur di allontanarsi da quel luogo. In realtà il timore che qualche
cosa di superiore alle sue forze avrebbe potuto prostrarlo, lo invogliò ad
eseguire quanto gli chiedeva la zia, e s'incamminò a passo svelto verso Mugnano".
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Disegno dell'artista Enzo Iovinella |
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Settimanale "Provincia Oggi" 2007
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Il sacrario dei quattro martiri Nel cimitero consortile di Calvizzano e Mugnano
Ai Quattro Martiri
Un albero di melo accolse Quattro angeli di Dio, Laddove furono squarciate Le membra ed il coraggio. Lì, riecheggia la voce della terra Che come madre disperata chiama a sé i figli suoi: Rolando! Presente! Nicola! Presente! Luigi! Presente! Pasquale! Presente! Figli miei, figli cari, il vostro sacrificio sarà ricordato in eterno, ricordato dall'amore della vostra Mugnano.
di Carmine Cecere
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